18.6.18

Pitti Uomo, o Fiera della Vanità?





Lo scorso venerdì si è conclusa la 94esima edizione di Pitti Immagine Uomo. Spenti i riflettori e sbloccata la viabilità, possiamo permetterci di soffermarci su ciò che è questo evento e di stilare un breve bilancio. Guarda caso il nostro bilancio risulta essere agli antipodi rispetto alle lodi tessute dall’olistica biosfera mediatica, senza alcuna voce fuori dal coro. “Cifre da capogiro”, “Boom della moda a Firenze!”, e ancora “Export del settore della moda italiana in crescita”. Queste sono solo alcune delle introduzioni agli spudorati elogi che TV e giornali hanno riservato al capitalismo fashion e glamour. Analizziamo con ordine. L’immancabile raggiante Darione Nardella ha inaugurato quest’ultima edizione di Pitti assieme a Bonisoli, nominato da Di Maio come nuovo ministro dei beni culturali. Il successone di questa balorda fiera della vanità è stato introdotto dalle spiacevoli parole del neoministro che, dopo essersi congratulato per la crescita del +3,2% di fatturato dell’export italiano del settore della moda, ha dato la sua benedizione agli “imprenditori del settore che producono export e posti di lavoro”. Parole imbarazzanti, che però, nell’era in cui il lavoro si è trasformato da diritto inalienabile a gentile concessione padronale, non scandalizzano poi troppo. Chissà quanto saranno contenti i lavoratori e le lavoratrici del settore della moda, che proprio in Toscana vede alcuni dei suoi principali centri produttivi. Basti pensare alle condizioni lavorative nei capannoni sovraffollati delle aziende subappaltatrici dei grandi brand nel Macrolotto a Prato, o alle condizioni dei lavoratori e ai crimini ambientali delle concerie del Valdarno tra Firenze e Pisa, note anche per i rinomati casi di infiltrazione dell’Ndrangheta, per rendersi conto che tutta questa generazione di posti di lavoro potrebbe essere orientata assai diversamente. 

È così che, tra gli ebeti complimenti reciproci di avventori, stilisti e modelli, si consuma quest’ennesima fiera della vanità. Siamo sicuri inoltre che sarà stato molto soddisfatto il neoministro dei Beni Culturali nel venire a conoscenza delle grandi feste e sfilate private tenutesi nei diversi luoghi della cultura della storia e dell’arte fiorentina, cortesemente concessi dall’amministrazione ai grandi brand. Ebbene, ci pare adesso lecito parlare un po’ di Beni Culturali, ma più in particolare, se vogliamo, della loro svendita. L’ultra-inflazionata Fortezza da Basso la possiamo dare ormai per persa, tanto che fatichiamo ad immaginarla altro rispetto al ruolo di sede del Polo Fieristico Fiorentino che oggi ricopre. La Loggia del Porcellino in Piazza del Mercato Nuovo si è magicamente trasformata in Lounge bar blindato per party privati extra lussuosi, destinati al confronto tra stilisti e grandi capitalisti del settore, provenienti da tutto il globo; da New York a Mosca, da Dubai a Singapore, tutti a sorseggiare cocktail e a dispensare strategie commerciali nel prezioso bunker rinascimentale per loro pensato. Possiamo poi sorvolare su tanti altri siti destinati a feste, sfilate e grandi eventi privati. Il Giardino di Boboli se lo è preso Craig Green; il Giardino Torrigiani, quasi mai visitabile nemmeno dai fiorentini durante tutto l’anno, se lo è scelto la Birkenstock. Il Museo del Bargello è diventato la quinta scenica delle sfilate della Moncler. Più in grande hanno pensato alcuni storici marchi italiani. Armani ha scelto la settimana di Pitti per inaugurare la sua botteguccia in via Tornabuoni: nove vetrine per 250mq di negozio. Non è mancata infine la festicciola dello stesso Armani presso Palazzo Pandolfini. Gucci è andato oltre: l’anno passato ha pensato di impossessarsi direttamente di un intero palazzo storico. 

Il Palazzo della Mercanzia in Piazza della Signoria infatti, ospita oggi il museo di Gucci, il Gucci Garden e un punto ristoro dove dirige le danze lo chef Bottura, all’insegna della lotta allo spreco alimentare. Quanta poesia. Nemmeno la Curia si è salvata. Cavalli ha pensato bene di accaparrarsi l’intera Certosa del Galluzzo per le sue sfilate. Insomma, un’apoteosi per gli amanti della Firenze “Hometown fashion”. In questo universo di sete e tessuti, di modelli e affaristi, si è svolta questa spiacevole settimana della moda. Moda. Ma cos’è che rappresenta oggi l’universo della moda? Se l’imposizione ideologica della nostra epoca risulta essere il feticismo delle merci, avanzato contemporaneamente all’annullamento di qualsiasi livellamento empatico tra esseri umani, la moda riesce a sorprenderci, e ci porta oltre. Se infatti l’uomo all’interno della dinamica capitalistica viene ridotto a merce, la moda riesce a ridurre l’essere umano addirittura a supporto per merce. Celebrazione esasperata della forma merce, dell’abito, che diventa il soggetto principale, indossato dall’uomo, ridotto a nient’altro che un cavalletto, una gruccia animata. Da osservare, appunto, come sostegno per la merce, merce da esaltare e celebrare. 

Un’inversione tra oggetto e soggetto che angoscia ad una non troppo approfondita riflessione. E così si parla di tendenze, di gusto, di “adesso va molto il”, e ci si perde in una marea di discorsi che non fanno altro che tentare di propinare e riproporre il consumo. “Consuma ad ogni costo, stai al passo con le tendenze, con gli stili”. Ed è proprio questa continua quanto falsa esigenza di rinnovamento stilistico che tenta di indurre alla frenesia del consumo illimitato. “Indosso Ergo Sum”. Questa è l’essenza della totale concessione all’esteriorità. Si dimostra come si è, in quanto scegliamo come apparire. Relazioni tra persone che vengono mediate unicamente da cellulari e tablet, che diventano subito strumenti per affermare sui social network la propria presenza nel dato posto. Per urlare virtualmente il proprio “Io c’ero!”, il proprio “Anch’io sono parte della società dello spettacolo”. Così, abiti su supporti in carne ed ossa, si incrociano nel groviglio di connessioni falsate dall’interesse individuale, nella speranza di diventare amici degli amici degli amici. Firenze, nostro malgrado, si conferma centro nevralgico dell’organizzazione borghese della società. Pitti è solo un esempio della barbarie dilagante. La goccia in un oceano che gonfia sempre di più.

Lorenzo Brunello

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