5.12.13

CONTRO L'IMPERIALISMO E IL SIONISMO, LIBERTA' PER BAHAR



L’antefatto: il giorno 1 Luglio di quest’anno, parlando delle relazioni bilaterali tra Italia e Israele, il premier Letta, entusiasta, dichiara che "il prossimo vertice intergovernativo di dicembre a Torino sarà un'opportunità per capire come costruire anche noi una start up nation!".
L’affermazione merita un’approfondita riflessione, perché poter immaginare rapportato, “perimetrato”, traslato in una qualunque democrazia occidentale il “modello israeliano” non solo è un’aberrazione, ma è correa nello slegare i successi in campo economico e tecnologico dalla pratica colonialista che da più di sessant’anni si consuma in danno di un popolo, quello palestinese, è criminale ed è miope ma di una miopia che invece vede benissimo. L’occupazione, non può essere ovviamente un dettaglio che possa esser trascurato e la situazione è la seguente: la politica istituzionale tace, non informa ma il 2 dicembre a Roma era in corso un vertice fra Italia e Israele teso saldare l’alleanza tra i due governi e la richiesta, neanche troppo occulta di garantirsi la continuità della politica italiana sulle questioni mediorientali e l’appoggio incondizionato alle politiche israeliane. Le premesse partono dal 2011, anno in cui è stato firmato un accordo che consentiva all’Italia di essere, dopo la NASA, il più importante partner commerciale di Israele, nella fornitura di armi e nel settore aerospaziale, in parole povere, lo stato sionista, acquista in Italia i suoi strumenti di morte, tramite una commessa assunta dalla Alenia Aermacchi, una delle emanazioni di Finmeccanica. 


Ufficialmente l’incontro di Torino è stato l’occasione per la firma di un memorandum d'intesa che statuisce la collaborazione dei due atenei torinesi, il Politecnico e l'Università, con una delle più importanti università tecniche israeliane, la Technion di Haifa. In realtà non è difficile immaginare cosa significherà tutto questo: importazione di sistemi di sorveglianza di produzione israeliana, la possibilità di testare nuove armi da guerra sul nostro territorio (esiste un precedente di questo tipo di sperimentazione effettuata nei poligoni di tiro di Decimomannu, in Sardegna), l’importazione di prodotti considerati illegali, anche dalla Comunità Europea, perché provenienti da territori che non andrebbero toccati e non rientrano nelle “rotte commerciali e non è solo l’industria bellica a trarre vantaggio da tutto questo: l’Italia fornisce a Israele anche un know-how su tecniche e strategie militari, supportate da una caratteristica tutta italiana: fantasia e creatività che consentono di concepire sempre nuove, inedite e sofisticate tecnologie di guerra, da consegnare a quella perfetta macchina da macello che è Israele, macchina costruita, ideata e pensata per distruggere il popolo palestinese. Suburbio e vassallo dell’impero americano, l’Italia svolge al meglio e con diligenza, i propri compiti: continua, in maniera colpevole, a ignorare i crimini terribili perpetrati ai danni di un popolo privato della propria terra, inerme, che non ha alcun mezzo di difesa, che tenta, prima ancora di diventare nazione, di sopravvivere, quando i propri aguzzini decidono espropri per i propri interessi o peggio ancora azioni di guerra che coinvolgono anche donne e bambini e che passano sotto l’indecente formula di operazioni di polizia. Nell’incontro tra Netanyahu e Letta, quest’ultimo, discettando sui negoziati in corso con l’Iran sulla questione del nucleare, ha ribadito il concetto che “Roma considera la sicurezza di Israele non negoziabile!”, modo questo, per esprimere appoggio incondizionato a un paese che più volte ha dichiarato di privilegiare il conflitto, per chiudere la questione con un Paese che Israele accusa del possesso di un arsenale nucleare così poderoso da costituire un vero pericolo per i paesi confinanti, Paese da sempre indifferente al diritto internazionale, disattendendo tutte le disposizioni Onu. Verrebbe da sorridere, se tutto questo non fosse drammatico, al solo pensare al numero delle disposizioni ONU ignorate e violate da Israele, in quella piaga purulenta che è diventata Gaza e nel saccheggio continuo di territorio in Cisgiordania e al solo pensare a quante volte, il veto dei propri compari USA, ha bloccato, condanne, censure e risoluzioni ONU contro questo stato. La politica internazionale, finge di non vedere e se succede, allora cambia, manipola l’informazione, la utilizza a proprio comodo, racconta di guerre umanitarie e pontifica di droni intelligenti, ma intanto se non incoraggia apertamente, certo finge di non accorgersi di episodi come il bombardamento di Israele il 31 ottobre, sulla Siria. Un teatro di guerra che in quel luogo, fa gola a tanti, troppi e non da ultimi, agli imperialisti occidentali, che manipolano le notizie, utilizzano la retorica dei ribelli per dare il placet e giustificare una tale macelleria, foraggiando con armi, fondi, e mezzi, i numerosi gruppi di mercenari che addestrano e istruiscono alla guerra in Libia. A Torino, il PCL ha ricordato di esser lì, solidale a un popolo che in più di mezzo secolo di occupazione ha sempre combattuto con dolore e fierezza, diventando un esempio forte, luminoso per tutte le altre coscienze mediorientali, popolo, sulla cui pelle, i piani imperialisti americani, europei, sionisti, si rinforzano, banchettano, con lo strumento della guerra che da sempre, nella logica capitalista, è la sola risposta ad ogni crisi. Non va dimenticato, inoltre, che la questione palestinese non può ritenersi disgiunta alle drammatiche vicende della Siria e che venti di guerra, soffiano tragicamente in Iraq e Libano, creando una situazione insostenibile e mettendo in fuga migliaia di persone alla ricerca di una speranza di vita quanto meno decente, trovando più spesso, invece, la morte in mare. Va anche ricordato che l’Italia, giovedì, 21 novembre, non si è smentita nella sua abitudine inveterata di appoggiare i peggiori regimi imperialisti e assassini, questa volta, facendo un favore alla Turchia e arrestando all’aeroporto di Bergamo, il compagno Bahar Kimyongur, venuto in Italia per dare il suo contributo a due conferenze pubbliche, che trattavano dell’aggressione in Siria e delle gravi responsabilità di Erdogan. Lo scrittore, cittadino belga tra l’altro, militante attivo nei movimenti internazionalisti e contro la guerra è accusato di terrorismo, in quanto si oppone alla repressione e alle politiche del partito liberal-islamista al potere ad Ankara ed è stato condannato dopo un lungo processo per avere tradotto dal turco in francese alcuni comunicati del DHKP-C, organizzazione rivoluzionaria turca inclusa nella lista dei gruppi terroristi da parte dell'Unione europea. L’arresto del compagno Kimyongur, episodio nei riguardi del quale è assordante il silenzio del governo Letta, rende ben chiare le intenzioni o quanto meno il tentativo che Italia e Turchia tentano di mettere in pratica, facendo tacere un’appassionata e vibrante voce di protesta, che da anni, è coscienza di un popolo che non si arrende, nonostante la feroce e lunghissima repressione del governo turco e non solo all’interno dei propri confini (non si dimentichi la shoah curda) ma anche verso gli altri popoli dell’area. Per il momento la notizia è che sia stato spostato agli arresti domiciliari, in attesa del processo per l'eventuale estradizione in Turchia, ma rimane, comunque nelle mani della polizia e c’è anche la possibilità che, se non liberato, possa finire in una delle carceri dove vi sono sezioni appositamente concepite per i prigionieri politici, accusati di “terrorismo internazionale” e che sono realtà durissime, un vero e proprio inferno: Macomer, Benevento e Rossano, sono luoghi dove esistono siffatti circuiti carcerari – cosiddetti di Alta Sorveglianza – in cui i detenuti sono rinchiusi in condizioni disumane, nell’incuria e nella generale indifferenza. Il PCL era lì a ricordare che i popoli hanno il diritto di autodeterminarsi e che non sarà mai abbastanza la solidarietà espressa verso i palestinesi, chiamati tutti i giorni al martirio ma fieri e forti nella propria fragilità e capaci in ogni momento, nel quotidiano di resistere, con la forza della disperazione, alla pressione e all’occupazione di Israele, alla barbarie e al terrorismo di Stato. Decenni di apartheid non hanno mai scalfito la lucidità e la tenacia della loro lotta contro uno degli eserciti meglio addestrati e armati del mondo e a tanti, che sono solidali con questo popolo, non è dato neanche solo immaginare quali siano le sue reali e devastanti condizioni di vita. I compagni del PCL erano lì per ricordare che le idee, le opinioni politiche, vanno tutelate così come chi le veicola e che è ignominioso l’inganno che un Paese predispone per far cadere nella trappola della Digos un cittadino estero, per impedirgli di esprimere l’orrore che il suo governo perpetra da anni e che è assurdo, ingiusto, triste che poi, lo stesso Paese, che lo aveva accolto per delle conferenze, imbastisca contro di lui un processo dove colpevoli sono le sue idee politiche, tutto questo, solo per rendere un favore al macellaio che voleva denunciare. È per questo che i compagni del PCL erano lì e in tanti, E per questo noi eravamo lì e in tanti a chiedere la liberazione di Bahar e per ribadire con forza che ai palestinesi, venga riconosciuto il diritto all’esistenza di un proprio Stato su un proprio territorio, in una parola il diritto a essere popolo. Resistenza rossa

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