1.9.18

GENOVA CROLLA SOTTO IL PESO INESORABILE DEL CAPITALISMO


di Niccolò Lombardini
Il crollo del Viadotto di Polcevera meglio noto come Ponte Morandi, ha colpito al cuore Genova per l'ennesima volta nel giro di pochi anni, portandosi dietro un scia di 43 morti e centinaia di feriti e sfollati. Il cedimento di una delle infrastrutture più importanti ed imponenti dell'intera regione Liguria ha scatenato nelle "stanze del potere" il consueto "scaricabarile", con il solo obiettivo di trovare un capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe ed infine sciacquarsene le mani. 
I procuratori designati al caso, quindi, riaprono cassetti chiusi da anni, rispolverano fascicoli, documenti, progetti e via dicendo. Si cercano i responsabili come se fosse possibile personificare il capitalismo. Come se fosse possibile dargli un nome e cognome, in realtà lo si potrebbe anche fare, ma servirebbero migliaia di chilometri di carta ed intere cisterne di inchiostro per compilare un registro degli indagati che possa contenere tutti i responsabili di un sistema che attinge la propria linfa vitale dalla speculazione e dal profitto più sfrenato.
Il caso di Genova è lampante, ed i responsabili e le responsabilità sono molteplici e vengono da molto lontano. 
Per più di un secolo Genova è stata teatro di scempi portati avanti dai vari governi e amministrazioni cittadine. La gentrificazione forzata iniziata nella seconda metà dell'Ottocento dall'architetto Carlo Barabino, fu l'origine della scia di speculazione edilizia che si è protratta con il passare del tempo. Intere zone periferiche
- principalmente nella piana del Bisagno - abitate perlopiù da operai, pescatori, contadini, piccoli artigiani e lavandai, furono prese di mira per la realizzazione di quartieri residenziali da destinare al ceto medio. Nel giro di pochi anni queste persone videro i loro territori - in cui svolgevano anche le loro attività lavorative- trasformarsi in reticoli ottagonali situati attorno agli attuali Corso Buenos Aires e Corso Torino-Corso Sardegna. 
Gli orrori di edilizia urbana e gli interventi impattanti sull'ambiente si amplificarono con l'avvento del fascismo: vennero realizzate una serie di opere in pieno stile fascista, capaci di mettere in risalto il culto celebrativo del regime. Uno degli esempi più significativi è Piazza Dante con il grattacielo Piacentini, quest'ultimo voluto per ostentare la potenza industriale della Genova fascista. Per la realizzazione di Piazza della Vittoria, Mussolini decise addirittura di far interrare il torrente Bisagno intrappolandolo all'interno di un tubo che poteva smaltire le "piene" secondo i calcoli dell'epoca. 

Secondo l'Ing. Giorgio Olcese - storico ingegnere civile del Comune di Genova- la copertura del Bisagno fu la prima della cause che portarono alle alluvioni degli anni seguenti. Quasi contemporaneamente per far spazio alla nuova "strada camionale" - l'odierna a7- venne cambiato radicalmente il volto della città andando ad effettuare un'operazione di sbancamento del promontorio di S.Benigno. 
Dopo l'entrata in guerra dell'Italia di Mussolini, Genova venne duramente colpita dai bombardamenti alleati. Nonostante l'assidua resistenza antifascista che liberò Genova ed impedì ai tedeschi in ritirata da dare il colpo di grazia alla città, alla fine del conflitto si contarono quasi 11.000 edifici distrutti e 50.000 senza tetto. 
Anche l'economia cittadina venne messa in ginocchio a causa della devastazione del porto, che rappresentava la principale fonte di reddito per tantissimi operai. 
Una città distrutta necessitava obbligatoriamente di grandi opere di ricostruzione, le quali fecero venire l'acquolina in bocca a costruttori senza scrupoli guidati solo dalla prospettiva di enormi guadagni. 
Nel 1959 su pressione dei costruttori diventò legge il Piano Regolatore Generale che rappresentò il definitivo colpo di grazia per Genova.
Sempre l'Ingegnier Olcese, nel corso di un'intervista ricorda: " Risale al periodo fascista anche la legge urbanistica che, nel 1942, stabilisce, come strumento principale e fondamentale per lo sviluppo delle città, il Piano Regolatore Generale. Il primo per Genova che diventa legge nel 1959 e dà il via al disastro delle colline bucate dalle ruspe ovunque, perché ovunque, diceva quel Prg diventato legge, si poteva costruire. " 
Gli anni 60 in effetti per Genova rappresentano uno dei punti più alti raggiunti dalla speculazione edilizia, con l'amministrazione comunale che senza preoccuparsi delle conseguenze, espanse ulteriormente lo sviluppo urbanistico nelle valli di Polcevera e del Bisagno e rese edificabili le colline, andando ad eliminare con la cementificazione gli alberi - che servivano da barriera naturale per limitare la discesa delle acque a valle - incrementando così il pericolo frane. 
In quegli stessi anni solo nella zona collinare furono costruiti centinaia di palazzi, aumentando del 77% il patrimonio residenziale della città. 
Logicamente le case venivano costruite con budget ridotti, in modo da avere la certezza di massimizzare i guadagni una volta venduti gli alloggi a prezzi di mercato.
inoltre vennero edificate alcune grandi opere come ad esempio la strada sopraelevata, venne terminato l'aeroporto "Cristoforo Colombo", il polo fieristico della Foce e la diga di Begato. Per far posto ad alcune di queste costruzioni vennero abbattuti quartieri storici come Via madre di Dio e Portoria - oggi quartiere commerciale e direzionale di Piccapietra-.
Risale a quel periodo anche la costruzione del purtroppo famoso Ponte Morandi, realizzato sotto l'egida della Società Italiana per Condotte d'Acqua Spa, al tempo, di proprietà dell'Amministrazione Speciale della Santa Sede e della Bastogi Spa - poi venduta qualche anno dopo a Michele Sindona-. 
I piloni in cemento armato che poggiano sulle case sottostanti sono una terrificante cartolina che evidenzia le scellerate regolamentazioni edilizie dell'epoca e di quando l'interesse privato prende il sopravvento su quello pubblico. 

Con l'avvento degli anni 70 e 80 continuarono i progetti di edilizia residenziale ed urbanistica incontrollata con la città che raggiunse gli 800.000 abitanti; prima con la costruzione dei quartieri di Voltri, Pegli, Begato, S. Eusebio e Quarto -che avrebbero dovuto rappresentare il modello di quartiere autosufficiente rivelatosi poi negli anni un completo fallimento- poi con i massicci centri direzionali di Centro dei Liguri, S. Beningo e Corte Lambruschini. 
Durante gli anni 90 si tentò di rimediare ai danni emanando un nuovo Piano Regolatore Generale, che mirava alla salvaguardia dell'ambiente, ma purtroppo era troppo tardi.
Quello che è avvenuto al Ponte Morandi poche settimane fa è solo un tassello di un mosaico che si sta lentamente sgretolando. Anni d'incompetenza e stupidità legati a concessioni edilizie senza criterio - veri e propri regali a costruttori e palazzinari - che hanno subordinato la sicurezza in nome del profitto, hanno reso Genova una città di cartapesta che rischia di collassare su se stessa.
Per più di un secolo gli esecutori materiali di questi disastri si sono susseguiti l'uno dopo l'altro passandosi il "testimone": prima Barabino, poi Mussolini, passando per le molteplici amministrazioni comunali e regionali che si sono alternate negli anni, governi, ministri, fino ad arrivare ai Benetton
Cambiano i nomi, ruoli, contesti storici, ma il mandante è sempre lo stesso: il capitalismo, che nient'altro è che la peggiore delle barbarie.

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