15.12.13

IL MOVIMENTO DEI FORCONI



Il 9 dicembre è tornato per strada il “Movimento dei Forconi”, nato lo scorso anno, in Sicilia, ma stavolta al suo esordio nazionale per la protesta che hanno chiamato “Fermiamo l’Italia”. Non che i motivi della contestazione non siano condivisibili, anzi: obiettivo è il governo Letta e le politiche di austerità imposte dal capitalismo Europeo politiche, delle quali i destinatari rimangono sempre i lavoratori nell’ambito di meccanismi che, per alchimie oramai consolidate, continuano, anche in scenari come questi, ad arricchire il capitale.


Inutile comunque dilungarsi sui perché, un’analisi interessante da fare, invece, è sul chi, o meglio sui vari protagonisti di questa situazione. In Sicilia c’è stato un tentativo iniziale di contrabbandare la protesta, come affiliata, o comunque benedetta dalla mafia: chi ha letto e conosce, sia pure un minimo sull’argomento, sa che il tentativo è ridicolo almeno per due motivi: la mafia non scende in piazza (utilizza meccaniche diverse) e ha propri rappresentanti nella politica, improbabile possa manifestare contro se stessa. Bisogna dirla così com’è, dietro i Forconi ci sono interessi personalistici ma anche rabbia confusa, rivolta, paura e nessuna proposta alternativa seria, motivo per cui il vuoto di proposte è stato immediatamente colmato e in maniera nemmeno tanto nascosta, dai gruppi della destra extraparlamentare. Il primo allarme lo aveva lanciato l’ANPI (associazione nazionale partigiani d’Italia), ai quali, si possa o non essere d’accordo con loro, bisogna, giocoforza, riconoscere l’essere antifascisti; l’allarme riguardava la nascita su Facebook di un fantomatico “Coordinamento nazionale per la rivoluzione”, che oltre a proclami di varia natura, mobilitazioni, incitamenti alla lotta, eccetera, per bocca di un certo Danilo Calvani, da molti indicato come il leader, auspicava: “La costituzione di un governo temporaneo magari con una figura militare di riferimento“: insomma, roba da brividi al solo pensiero che dal potere delle banche si possa passare a quello dei militari. Anche se lo stesso Danilo Calvani aveva, precedentemente, ribadito ai giornalisti: “No ai partiti, alla violenza e ai sindacati e no ai blocchi stradali!”, alla protesta si sono unite, praticamente da subito e senza alcun tipo di rifiuto o distinguo da parte degli organizzatori, gruppi di militanti delle tre formazioni di estrema destra: Forza Nuova, Casa Pound e l’MSE (movimento sociale europeo). Senza soffermarsi sulle azioni che le hanno viste protagonisti di diversi episodi, la propria commistione con il movimento è rivendicata dalle stesse, con propri comunicati stampa. “Forza Nuova - ha dichiarato Roberto Fiore, leader del partito - è orgogliosa di poter dare tutto il supporto politico e operativo a questa grande protesta.” e a Roma pare che ci sia stato anche il conforto della presenza di Lotta Studentesca, la formazione giovanile di Forza Nuova. Di Casa Pound, invece, si hanno notizie più ampie, erano presenti un po’ dappertutto: Battipaglia, Lamezia Terme, Pordenone, Forlì, Frosinone, Palermo, Porto D'Ascoli, Cagliari; si sono presentati con le bandiere tricolori e lo slogan: «Alcuni italiani non si arrendono!», hanno assicurato ai leader Forconi la loro partecipazione attiva per tutto il tempo della protesta, presumibilmente mercoledì, senza, ribadendo il concetto, alcun tipo di rifiuto o distinguo L’MSE, ha preferito testimoniare la propria presenza, in maniera più nostalgica: stamani, al grido di “Boia chi molla!”, un gruppo di loro ha bloccato la Colombo, all’altezza della redazione di Repubblica; si potrebbe sorridere, se la cosa non fosse preoccupante. A tutto questo, per dovere di cronaca, bisogna aggiungere quello che abbaia Peppe Grillo, difficile da comprender perché urlato, spesso in maniera sconnessa, con ritmi che è difficile digerire e quindi poter commentare, l’unica cosa che si può dire a riguardo è che questo paese, oramai, ne ha piene le scatole di capipopolo miliardari, piuttosto indifferenti ai problemi dei lavoratori. Con rammarico, a queste righe, c’è un’aggiunta dell’ultima ora, a conferma che al peggio non c’è mai fine: l’assalto alla libreria Ubik di Savona A prescindere dalla violenza in sé, la frase gridata, che in molti ricordano: “Bruciate i libri”, non può fare a meno di rimandarci immediatamente con la memoria, al rogo di libri, voluto da Hitler, nel ‘933 e tanto, se poteva esserci anche un frammento di dubbio sulla paternità nazifascista dei forconi, fuga ogni incertezza. È ovvio che questa è una situazione che crea emergenza in un momento di emergenza più generale, innanzitutto è priva di una qualsivoglia progettualità: azioni slegate che hanno come unico comune denominatore questa sorta di neo squadrismo del terzo millennio del quale, alla fine, rimane la memoria di quanto accaduto, ma nessuna idea di quanto accadrà, perché, l’immediato passato è di basso livello e quindi il futuro si preconizza alla stessa maniera. È il caso, per questi motivi, riflettendo sulle sfaccettature del ragionamento fatto sin qui, di avviare una valutazione su quella che rimane, comunque, una variegata conclusione, di questo scorcio del 2013. La crisi del capitale e le politiche conseguenti, stavolta non hanno solo investito la classe operaia, ma, l’incapacità di quanti hanno sin qui governato, è riuscita ad avvitare su se stessi ampi settori delle classi medie: i “padroncini” del trasporto merci, i negozianti, i piccoli e minimi artigiani, un caleidoscopio di mondo produttivo è oramai al palo e senza nascondersi dietro ad articolate frasi di politichese, bisogna riconoscere che in questo momento, di destra o di sinistra che sia, il sentimento più diffuso è la rabbia e così governato ha ottime probabilità di divenire patrimonio della destra più becera che ovviamente si muoverà, ancora una volta, contro i movimenti degli operai. Sulle motivazioni di questo sentimento il PCL ha già speso una serie di analisi, le quali, in maniera esemplificata possono essere sintetizzate come la consapevolezza, oramai assunta dal popolo dei lavoratori, della continuata e aggravata presa per i fondelli che il governo Letta (ultimo di altri) sta portando avanti ai loro danni, atto di situazioni consolidate, in grado sempre di risorgere dalle proprie ceneri e sempre in grado di colpire alla stessa maniera e tutto questo accade anche perché il movimento dei lavoratori italiani non è in grado di esprimere una risposta “altra” alla società del capitale. La colpa? Le colpe? Tante e diffuse. Pur essendo presenti lotte operaie fondamentali e vissute con impegno sincero, senza girarci molto intorno, bisogna parlare della cattiva coscienza delle sinistre politiche e dei sindacati ad esse commisti, che non solo non si adoperano per aggregarle, ma fanno di tutto (e si ribadisce il concetto di “cattiva coscienza”) per tenerle disunite. Emblematico è quanto accaduto ultimamente nel settore del trasporto pubblico cittadino, le contestazioni, iniziate a Genova hanno tenuto ferma quella città per cinque giorni, dopo un po’ è stata la volta di Firenze: stessa logica di svendita di un azienda e stessa logica presente o tenuta in caldo in tutti quei comuni dove è operativa un’azienda di trasporto pubblico. “Buona coscienza” avrebbe voluto un’azione veloce e unificante da parte di sinistre e sindacati, per determinare l’innesco, a livello nazionale, di un movimento radicale e di massa contro privatizzazioni, sacrifici e politiche di austerità in grado di ergersi a riferimento contro le dissennate politiche del capitale e dei loro governi, al contrario, anche stavolta la “cattiva coscienza” è stata ispiratrice: ridimensionamento e mortificazione della protesta ad una bega locale, in omaggio alle meccaniche di salvaguardia dei soliti noti. Questo sentimento, sacrosanto, non può esser lasciato allo squadrismo della destra, inconcludente e fine a se stesso, il PCL ha la lucida consapevolezza che solo la discesa in campo del movimento operaio e del movimento studentesco potranno essere in grado di trasformare la somma di queste azioni scomposte e reazionarie, in un vero movimento di rivolta progressista, che sia in grado di mettere i fascisti fuori gioco e battersi per la prospettiva di un governo di lavoratori in una società da rifondare. Compito arduo, ingrato, complesso, irto di difficoltà ma nei riguardi del quale non sarà mai abbastanza e sempre privo di ogni forma di equivoco, l’impegno del PCL. 

Resistenza Rossa

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