21.1.14

#TORTURADISTATO : IL PROFESSOR DE TORMENTIS

«Ho un concetto chiaro dell’interrogatorio. Una persona deve sentirsi nel potere di colui il quale interroga. Quando ciò avviene, cede.». 
Nicola Ciocia, alias professor De Tormentis in Valerio Lucarelli, Vorrei che il futuro fosse oggi. Ribellione, rivolta e lotta armata, (Una storia dei NAP). Ancora del mediterraneo 2010, pagina 182. 

De Tormentis non è un cognome reale, ma è il soprannome ricevuto da un funzionario dello stato, da un altro funzionario dello stato. La cosa potrebbe far pensare a una faccenda dai risvolti buffi se non fosse un soprannome dietro il quale esiste un tracciato lungo e penoso, tenuto ad arte e per lungo tempo, in un contenitore di ovatta, per impedire che ne potessero uscire le urla del dolore e del terrore che ha provocato. Inizia da qui la storia di un ex poliziotto, pugliese di origine, ex dirigente della squadra mobile, ex questore, poi avvocato, oggi pensionato; una vita a Napoli, una persona che, oramai, non esce quasi mai dalla sua casa sulla collina del Vomero. Parte dai metodi di interrogatorio maledettamente simili a quelli utilizzati dai francesi in Algeria o dagli americani a Guantanamo: erano gli anni tra il '78 e l’82, quelli della guerra alle BR, ai NAR, ai NAP, gli anni in cui iniziarono a chiamarlo “professor De Tormentis”. Quel soprannome, per molto tempo, è stato un segreto di Pulcinella: era in un libro scritto da Nicola Rao, Colpo al cuore. Niente può descrivere in maniera più completa il personaggio di cui appresso si parla, se non le sue stesse parole, riportate dallo scrittore Valerio Lucarelli, nel libro Vorrei che il futuro fosse oggi. Ribellione, rivolta e lotta armata. Senza girarci troppo intorno, la persona conosciuta con l’eteronimo di “De Tormentis”, altri non è che il Dr Nicola Ciocia funzionario dell’Ucigos (l’attuale Polizia di prevenzione) che a capo di una squadra conosciuta con il nome di “I quattro dell’Ave Maria”, si muoveva tra questure e caserme d’Italia per interrogare militanti, o supposti tali, delle Brigate Rosse, o quanti, comunque fossero in qualche maniera sospettati di fiancheggiamento. I dubbi su questa identità, ove mai ce ne fossero, vengono fugati in un’intervista fatta al Dr Ciocia dal giornalista Fulvio Bufi, sul Corriere della Sera di venerdì 10 febbraio 2012. Il giornalista del Corriere scrive che il Dr Ciocia ha ammesso di essere la persona indicata con lo pseudonimo di “professor De Tormentis” e che a dargli quel soprannome sia stato il Dr Umberto Improta, responsabile dell’ufficio politico della questura di Napoli nei primi anni 70, poi all’UCIGOS, poi questore a Roma, poi prefetto di Napoli e infine commissario straordinario ai rifiuti in Campania, del quale il Dr Ciocia fu sempre uno stretto collaboratore. I nomi da fare in questa storia sarebbero tanti, tutti funzionari di polizia, a livelli diversi in una scala gerarchica, i quali, durante i cosiddetti “anni di piombo”, si sono occupati della lotta al terrorismo, ma quanto si cerca di promuovere in queste righe, non è un elenco di nomi, che tra l’altro verrebbero subito dimenticati o un elenco di fatti e circostanze delle quali, nel migliore dei casi, rimarrebbe lo sbiadito ricordo di poco o pochissimo, ma è uno spunto di riflessione su una zona grigia dello stato, zona in cui riesce a perdersi ogni cosa, una sorta di porto delle nebbie in cui non è nemmeno possibile navigare a vista, un muro di gomma su cui rimbalza tutto. Spulciando variamente nella letteratura che si è occupata di tutti i fatti che ruotano intorno a queste vicende ne esce un quadro lontanissimo dallo stato di diritto, così come è stato raccontato e ogni volta viene raccontato dall’establishment; è emerso che i metodi praticati per ottenere confessioni, fossero generalmente violenti e tra questi spiccasse il waterboarding (soffocamento con acqua salata), di fatto una tortura consistente nell'immobilizzare un individuo in modo che i piedi si trovino più in alto della testa e versargli acqua sulla faccia. Senza dilungarsi in sadici tecnicismi, una sorta di annegamento controllato, durante il quale il torturato sperimenta la sensazione della morte e che, a seconda delle tecniche di esecuzione, può condurre a danni fisici permanenti. Ma non solo questo, in generale ci si trova di fronte a un utilizzo scientificizzato della violenza la quale, oltre a provocare dolore, doveva servire a porre l’interrogato in uno stato di prostrazione e di forte dipendenza psicologica. Nell’immaginario collettivo la gente comune pensa che queste cose possano accadere solo in paesi lontani da noi e culturalmente arretrati rispetto ai nostri stand, invece è accaduto tutto qui, nel Bel Paese, sede del Vaticano, patria del dritto, dove negli spot televisivi la vita viene descritta come vissuta tra casette di marzapane e fiumi di latte e miele. Ad ammettere “i metodi forti” è stato lo stesso De Tormentis in un’intervista a Matteo Indice del 24 giugno 2007, pubblicata sul Secolo XIX: “Ammesso e assolutamente non concesso, che ci si debba arrivare, la tortura, se così si può definire, è l’unico modo, soprattutto quando ricevi pressioni, per risolvere il caso, costi quel che costi. Se ci sei dentro non ti puoi fermare, come un chirurgo che ha iniziato un’operazione devi andare fino in fondo. Quelli dell’Ave Maria esistevano, erano miei fedelissimi che sapevano usare tecniche particolari d’interrogatorio, a dir poco vitali in certi momenti.”. Otre alle sue ammissioni a confermare i tratti salienti di tutta questa storia ci sono le accuse mosse da Rino Genova, ex commissario di polizia, che partecipò al blitz dei NOCS per liberare il generale americano James Dozier rapito dalle Br: “Noi alle torture e ai maltrattamenti del professor De Tormentis abbiamo partecipato.”, ma già in precedenza, tra le file della polizia, altri avevano parlato di sevizie, come l’allora capitano Riccardo Ambrosini, che per questo venne espulso dall’appena nato Siulp, quello che doveva essere il sindacato democratico di polizia. È stato già detto che i tanti erano tutti funzionai di polizia, inquadrati in una scala gerarchica, il cui meccanismo era quello di dover rendere conto al gradino superiore, ma l’ultimo gradino portava sempre a un pianerottolo deserto dove il deus ex machina, la frase risolvente era “Ordini superiori!” e a fronte di questa verità enunciata, la domanda che viene da farsi, è: “Sì! Ma superiori fino a quanto? Ci sarà pure stata una persona fisica che materialmente ha impartito certe disposizioni?”. Ma qui il cerchio si è sempre chiuso, chi diceva: “Ordini superiori!” era sempre il gradino prima del pianerottolo, perché emblematico rimane il fatto che tra il febbraio e il marzo 1982, Piervittorio Buffa e Luca Villoresi, giornalisti dell’Espresso, furono arrestati per essersi occupati della faccenda delle torture, per aver indagato troppo, per aver raccolto testimonianze inopportune, per trovato scomodi riscontri: ma questo è un altro aspetto dimenticato di questa storia. 

Resistenza Rossa

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