E’ trascorso più di un anno da quando le prime manifestazioni Euromaidan, infiammavano gli animi. Da quel 21 novembre 2013, la situazione
politica in Ucraina, inizia ora ad avere un profilo più definito.
Ragionamenti, interpretazioni di tattiche talora contraddittorie e confuse
conclusioni, cominciano finalmente ad assumere contorni piuttosto netti, come i
disegni politici che sono diventati motivo di ispirazione della strategia di
Mosca in Crimea e nel Donbass.
Alla fine, il Cremlino può dirsi soddisfatto. La Crimea, “posseduta”, nel
tempo di un blitz celere e senza alcuna sbavatura nell’organizzazione, in sole
tre settimane, dalla deposizione di Viktor Janukovič, poteva ammirare il fiero
sventolìo della bandiera russa dal parlamento autonomo di Sinferopoli : annessione
vi era stata con tanto di referendum, pur se di opinabile modus operandi.
Successivamente alla Crimea, Putin, non si è perso d’animo, riuscendo ad
ottenere un conflitto rimasto “sospeso” e cristallizzato, secondo delle
direzioni già assunte in Moldova e Georgia.
L’esempio più evidente, ci viene dal Donbass, dato che l’annessione,
richiederebbe costi improbi, l’attenzione ora si riversa sulle repubbliche
filorusse di Luhansk e Donetsk, affinché le pressioni indirizzate al governo di
Kiev, ne possano definitivamente indebolire
la sovranità.
Si tenga presente che una nuova tregua tra il governo ucraino e i ribelli, stabilita
il 5 dicembre, può rappresentare quanto meno un’apparenza di normalità che
ripristini la condizione quo ante il conflitto; ciò deve far ragionare
necessariamente a che prezzo però.
Nonostante non ci sia dato comprendere se tale crisi politica, si sarebbe
risolta nel giro di poche settimane e pacificamente, è innegabile che
l’intervento di Putin, che di questa ha approfittato e se ne è servito, ha
determinato una distanza siderale con buona parte di un’opinione pubblica che
fino a non molto tempo fa, arrideva a Mosca e con cui aveva profondi legami e
non solo, ha fatto sì che si incancrenisse un processo di radicalizzazione
politica nelle istituzioni ucraine, fenomeno riscontrato chiaramente e durante
le proteste e durante la destituzione di Janukovič (cosa affatto scontata).
E’ fuori discussione inoltre, che il
voto 26 ottobre, abbia fortemente ridimensionato l’estrema destra di Svoboda e
che i neofascisti di Praviy Sektor non abbiano avuto riscontro, però è evidente
anche che l’intero asse della politica ucraina si sia indirizzato rovinosamente
su posizioni fortemente nazionaliste.
Sintetizzano la situazione, le recenti foto che ritraggono un gruppo di neonazisti
fare il saluto romano e tronfi, sfoggiare tatuaggi di svastiche e tutto questo,
negli uffici della polizia di Kiev, che dall’inizio di novembre, vede la
gestione di Vadim Trojan, vicecomandante del battaglione Azov, formazione
paramilitare di estrema destra.
E poi non di secondaria importanza, abbiamo un conflitto che ha mietuto
quattromila morti e senza dubbio, va detto che in occidente, di poco conto si è
tenuta in considerazione la responsabilità del governo di Kiev.
Il risultato è avvilente. L’Ucraina, scontornata della sua integrità
territoriale, rischia di trovarsi lacerata da partiti la cui posta in gioco
sembra unicamente esprimere il nazionalismo più intransigente.
Intanto Mosca, che sconta le non poco onerose sanzioni occidentali (ed è
oramai solo un ricordo rimasto sulla carta il progetto del gasdotto South
stream) e che paga anche il rovinoso crollo del prezzo del petrolio, ha creato
un precedente difficilmente sanabile, rompendo i rapporti con un paese fratello
e rischiando anche di rendere conflittuali le relazioni con altre nazioni
dell’ex Urss.
E credo si possa tranquillamente sostenere, che sia non un grande risultato
a livello strategico, ritrovarsi con gli ‘spiccioli’ dell’intesa delle due repubbliche
popolari di Luhansk e Donetsk o l’affinità con la Repubblica Moldava di
Transnistria, la Abchazia (lo stato tra Russia e Georgia, definito dai suoi
stessi abitanti “parzialmente riconosciuto” e che in Europa invece, rimane come
la “Repubblica separatista”) e l’Ossezia del sud.
Resistenza Rossa
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