3.12.14

IN EUROPA ORIENTALE TUTTO CAMBIA AFFINCHE' NULLA CAMBI





E’ trascorso più di un anno da quando le prime manifestazioni  Euromaidan, infiammavano gli animi.  Da quel 21 novembre 2013, la situazione politica in Ucraina, inizia ora ad avere un profilo più definito.
Ragionamenti, interpretazioni di tattiche talora contraddittorie e confuse conclusioni, cominciano finalmente ad assumere contorni piuttosto netti, come i disegni politici che sono diventati motivo di ispirazione della strategia di Mosca in Crimea e nel Donbass.
Alla fine, il Cremlino può dirsi soddisfatto. La Crimea, “posseduta”, nel tempo di un blitz celere e senza alcuna sbavatura nell’organizzazione, in sole tre settimane, dalla deposizione di Viktor Janukovič, poteva ammirare il fiero sventolìo della bandiera russa dal parlamento autonomo di Sinferopoli : annessione vi era stata con tanto di referendum, pur se di opinabile modus operandi.
Successivamente alla Crimea, Putin, non si è perso d’animo, riuscendo ad ottenere un conflitto rimasto “sospeso” e cristallizzato, secondo delle direzioni già assunte in Moldova e Georgia.
L’esempio più evidente, ci viene dal Donbass, dato che l’annessione, richiederebbe costi improbi, l’attenzione ora si riversa sulle repubbliche filorusse di Luhansk e Donetsk, affinché le pressioni indirizzate al governo di Kiev, ne possano definitivamente indebolire  la sovranità.
Si tenga presente che una nuova tregua tra il governo ucraino e i ribelli, stabilita il 5 dicembre, può rappresentare quanto meno un’apparenza di normalità che ripristini la condizione quo ante il conflitto; ciò deve far ragionare necessariamente a che prezzo però.
Nonostante non ci sia dato comprendere se tale crisi politica, si sarebbe risolta nel giro di poche settimane e pacificamente, è innegabile che l’intervento di Putin, che di questa ha approfittato e se ne è servito, ha determinato una distanza siderale con buona parte di un’opinione pubblica che fino a non molto tempo fa, arrideva a Mosca e con cui aveva profondi legami e non solo, ha fatto sì che si incancrenisse un processo di radicalizzazione politica nelle istituzioni ucraine, fenomeno riscontrato chiaramente e durante le proteste e durante la destituzione di Janukovič (cosa affatto scontata).
E’ fuori discussione inoltre,  che il voto 26 ottobre, abbia fortemente ridimensionato l’estrema destra di Svoboda e che i neofascisti di Praviy Sektor non abbiano avuto riscontro, però è evidente anche che l’intero asse della politica ucraina si sia indirizzato rovinosamente su posizioni fortemente nazionaliste.
Sintetizzano la situazione, le recenti foto che ritraggono un gruppo di neonazisti fare il saluto romano e tronfi, sfoggiare tatuaggi di svastiche e tutto questo, negli uffici della polizia di Kiev, che dall’inizio di novembre, vede la gestione di Vadim Trojan, vicecomandante del battaglione Azov, formazione paramilitare di estrema destra.
E poi non di secondaria importanza, abbiamo un conflitto che ha mietuto quattromila morti e senza dubbio, va detto che in occidente, di poco conto si è tenuta in considerazione la responsabilità del governo di Kiev.
Il risultato è avvilente. L’Ucraina, scontornata della sua integrità territoriale, rischia di trovarsi lacerata da partiti la cui posta in gioco sembra unicamente esprimere il nazionalismo più intransigente.
Intanto Mosca, che sconta le non poco onerose sanzioni occidentali (ed è oramai solo un ricordo rimasto sulla carta il progetto del gasdotto South stream) e che paga anche il rovinoso crollo del prezzo del petrolio, ha creato un precedente difficilmente sanabile, rompendo i rapporti con un paese fratello e rischiando anche di rendere conflittuali le relazioni con altre nazioni dell’ex Urss.
E credo si possa tranquillamente sostenere, che sia non un grande risultato a livello strategico, ritrovarsi con gli ‘spiccioli’ dell’intesa delle due repubbliche popolari di Luhansk e Donetsk o l’affinità con la Repubblica Moldava di Transnistria, la Abchazia (lo stato tra Russia e Georgia, definito dai suoi stessi abitanti “parzialmente riconosciuto” e che in Europa invece, rimane come la “Repubblica separatista”) e l’Ossezia del sud.


Resistenza Rossa


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