24.7.15

ERDOGAN E ISIS, SPECULARI E COMPLICI NELLA STRAGE DI SURUC



I Curdi sono un gruppo etnico indoeuropeo sparso tra gli stati di Iran, Iraq, Siria e Turchia, il cui numero è stimato tra i trentacinque e i quaranta milioni, mai elevato alla dignità di popolo, perché, malgrado abbiano tentato, per oltre un secolo, di ottenere la creazione di un Kurdistan indipendente o perlomeno autonomo, i governi degli stati che ne ospitano un numero significativo si sono sempre opposti attivamente all'idea di uno stato curdo. È giusto ricordare quanto questo “popolo” abbia avuto una storia tormentata e che abbia vissuto una shoa, non dissimile da quella del popolo ebraico, in cui gli aguzzini di turno sono stati i turchi e questa, purtroppo, per versi diversi, è una storia che non ha mai avuto fine.

Suruc, città turca, al confine orientale con la Siria, è una di quei tanti di centri, posti in quell’angolo di mondo, che vanta origini e storia antichissime, ma ecco i fatti: siamo al 20 di luglio, presso il centro culturale Amara, sono presenti almeno trecento membri della Federazione delle Associazioni dei Giovani Socialisti, (SGDF) il centro culturale è gestito dalla municipalità di Suruc, governata dal Partito popolare democratico curdo (HDP) e buona parte di loro è riunita nel giardino, per discutere gli ultimi dettagli da mettere a punto prima di partire per una missione umanitaria diretta a Kobane pochi chilometri al di là del confine, quando improvvisamente l’inferno si concretizza in un’esplosione che ne ammazza trenta e ne ferisce almeno un centinaio, alcuni, purtroppo, in gravi condizioni.

Il bilancio è pesante e l’impatto emotivo terrificante, perché l’esplosione è stata ripresa dalle telecamere che erano impegnate a filmare quanto avveniva in quel luogo. Poche ore prima a Kobane era accaduta una cosa analoga: un’autobomba è esplosa nel quartier generale delle Unità di Protezione Popolare YPG, per fortuna il veicolo è stato fermato poco prima del checkpoint e pare fosse diretto verso la scuola Mihemed Dira ed è stato colpito dalle forze YPG prima di arrivare a destinazione; l’esplosione, secondo quanto riportato dal quotidiano Hurriyet, ha causato tre vittime e l’ipotesi è che si sarebbe trattato di un’azione coordinata, tesi questa, fornita ai giornalisti da Ismail Kaplan, vice del partito filo-curdo HDP, responsabile di Suruc.

Le modalità di quanto accaduto a Suruc, sono chiare sin da subito: si tratta di un attentato suicida, secondo quanto detto da fonti governative turche, firmato ISIS e portato a compimento, almeno così riferivano le prime notizie, da una giovane militante di quella organizzazione che poi pare si sia rivelata, essere invece, un uomo travestito da donna, che nelle scorse settimane era entrato in Turchia, passando dalla Siria. Il governo turco si è subito attivato con una serie di dichiarazioni, quelle che si fanno sempre in episodi del genere e che si riassumono tutte in quella patetica di Sebahattin Ozturk, il ministro turco degli Interni, che ha detto: “Siamo preoccupati il bilancio potrebbe aumentare.

I responsabili verranno presi e processati.” e dopo un po’, per impedire che le immagini di quei ragazzi morti continuassero a girare sul web, sono stati interrotti twitter e social network analoghi e se la cosa può avere un senso dal momento che si è impedito a chi ha organizzato una simile mattanza di godere del terrore che quelle immagini avrebbero sparso, dall’altra, una censura voluta da Erdogan, lascia sempre un po’ perplessi. Sempre fonti governative turche hanno, poi, sostenuto che l’attentato sia stato la risposta dell’ISIS al recente giro di vite contro militanti e reclutatori presenti sul proprio territorio, ma quello che non convince molto è il fatto che il bersaglio però non sia stato scelto in modo indiscriminato, perché, di fatto, non è stata colpita la Turchia ma un gruppo di sinistra, filo-curdo e politicamente caratterizzato.

Un’ipotesi avanzata, invece, è quella che potrebbe trattarsi di una ritorsione nei confronti di chi ha sostenuto le milizie curde contro lo Stato Islamico a Kobane, che è da mesi il simbolo della resistenza dei curdi siriani allo Stato Islamico, che ha cercato, inutilmente, di conquistarla, chiudendola, lo scorso autunno, in un vero e proprio assedio, ma questa ipotesi apre gli scenari inquietanti di sempre dove i capitalismi mondiali che si fronteggiano tra cartelli e necessari imperialismi, trovano nel braccio armato dell’ISIS, la legittimità e il necessario alibi per la persecuzione di un popolo in quella shoa, che con i risvolti di quanto accade oggi, è una storia che continua a non avere fine.

Senza girarci intorno, questa è stata un’azione mirata, la cui responsabilità politica è nelle corde del governo turco che rimane fermante e ferocemente contrario all’autodeterminazione del popolo Curdo e si dichiara nemico dell’ISIS, mentre lo sostiene in Siria, pur di abbattere quello che per Ankara è il nemico numero uno: il presidente alawita siriano Bashar al-Assad, ma soprattutto bisogna dire che questa è stata la risposta al fatto che i curdi nel Rojava, in territorio siriano, abbiano formato un’amministrazione democratica autonoma, evento che tutto il Kurdistan ha celebrato e che ha scatenato, in diverse località, gli attacchi dell’ISIS, attacchi che senza falsi pudori, sono stati appoggiati dai paesi confinanti.

Non bisogna essere esperti di politica mediorientale per capire che gli obiettivi scelti dall’ISIS, in questo frangente, rivelino in maniera accentuata la natura ambigua del governo turco complice e finanziatore delle organizzazioni islamiste che continuano ad attaccare la zona del Rojava e se qualcuno magari avanza un dubbio su un’ipotesi del genere, basta ricordare il fatto che durante l’assedio di Kobane, Ankara abbia schierato i suoi carri armati sul confine ma non è mai intervenuta in difesa delle centinaia di civili che nel frattempo venivano uccisi, sollevando più di un malumore nell’ambito della comunità internazionale.

La strage di Suruc ha una natura squisitamente politica, da non sottovalutare nelle sue intenzioni: spezzare le gambe alla solidarietà attiva internazionale e questo massacro è quindi da aggiungere alla lista dei crimini che il governo turco continua a perpetrare con l'appoggio incondizionato dell'ISIS. È ovvio che l’episodio ha scritto la parola fine ai difficili negoziati con Erdogan per fermare la lotta armata in cambio di riconoscimenti per la minoranza curda in Turchia (che conta circa quindici milioni di persone) e che la reazione del PKK, partito dei lavoratori del Kurdistan, sia stata durissima, questo, infatti, in un comunicato ha dichiarato: “Ormai non distinguiamo più fra militanti dell’ISIS e agenti dell’intelligence turca. Questo massacro è stato perpetrato dall’AKP”

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