28.7.15

IL PCL È CON "LA RAGAZZA DELLA FORTEZZA" E CON TUTTE LE DONNE , LA VIOLENZA DI GENERE E' SEMPRE L'IMPOTENZA DEL PATRIARCATO




Fu al concilio di Macon del 585 D.C. che Papa Gregorio I, concesse l’anima alle donne, le quali sino al quel momento erano state ritenute bestie, tanto che senza tale risorsa ritenuta così preziosa, se ne poteva stabilire di esse, il placet ad essere vendute, uccise, affittate, regalate e così via. Più di mille anni dopo nell’operetta poetico – morale “Lo scoglio dell’umanità”, datata 1746, lavoro di un certo Diunilgo Valdecio, questo signore, parlando della donna, si esprime in questo modo: "... bastando riflettere all'Oracolo dello Spirito Santo nell'Ecclesiastico registrato che chiaramente attesa esser la donna il principio e il fondamento di tutti i mali e per cagion i essa noi tutti moriamo".

È intanto, drammatico pensare che nel 2015, possano esser rimaste nella società, scorie in grado di avere ancora la forza di inquinare il giudizio sulla donna intesa come persona. “La ragazza della fortezza”, così si firma una trentenne che, nel 2008, quando aveva ventitré anni è stata stuprata a Firenze, in un’auto, dalle parti della Fortezza di Basso. E Così si firma, perché dopo sette anni passati nelle varie udienze dei tribunali, la sentenza d’appello ha dato ragione ai suoi violentatori, bollando lei come la mela marcia responsabile di quanto le fosse accaduto.

All’epoca, dopo aver subito il fatto, si era recata in un centro antiviolenza e aveva deciso di denunciare i sei ragazzi, tutti italiani, con età comprese tra i venti e i venticinque anni, che nella sentenza di primo grado furono condannati per quanto commesso, dal momento si erano resi colpevoli dell’abuso in condizioni di inferiorità fisica e psichica della giovane che, forse, quella sera era ubriaca. “La vicenda è incresciosa, ma penalmente non censurabile. La giovane era presente a sé stessa anche se probabilmente ubriaca, l'iniziativa di gruppo comunque non fu ostacolata", così recita, invece, quanto scrivono i giudici nella sentenza d’appello che manda assolti i sei giovanotti, stabilendo qualche curioso precedente giuridico: la denuncia serviva alla ragazza per “rimuovere”quello che considerava un suo “discutibile momento di debolezza e fragilità”, per cui il messaggio che s’è voluto sottendere è che se è pur vero che c’è stata violenza, sotto sotto, la cosa si può rendere accettabile, perché non c’è stata reazione e solo dopo vi è stato il rigetto di quanto accaduto . 

Va da sé che ovviamente nessuno piuttosto si sia neanche posto la briga di domandarsi, se tale mancanza di reazione non sia stata dovuta e largamente condizionata anche alla paura di ricevere violenza fisica, oltre quella sessuale.

Un altro aspetto della questione che lascia perplessi ma soprattutto disgustati, è che la vita di questa donna, durante il processo d’appello, ne abbia subito il capillare e occhiuto scandaglio teso a dimostrarne per contorti eppur evidenti percorsi di reprimenda morale, quanto piuttosto andava ricercato nel proprio stile di vita l'orrore di tutta la vicenda subita, stabilendo la ‘ratio’ per cui – e purtroppo non si tratta di un bizzarro precedente giuridico - chi condurrebbe un'esistenza "non lineare", non trascorsa entro canoni compiacenti alla morale comune, possa impunemente  subire uno stupro di gruppo e assumersene la colpevolezza.

L’avvocato Lisa Parrini, che ha difeso la giovane, bolla la sentenza come “densa di giudizi morali“, senza contare il riferimento alla“vita non lineare” con cui la corte ha giudicato quella della vittima, solo perché, spiega la Parrini, “ha avuto due rapporti occasionali, un rapporto di convivenza e uno omosessuale.”

Questo è il peggior incubo di una donna vittima di una violenza sessuale: quello di venir giudicata dopo, perché, i distinguo su vicende del genere si affastellano sempre: “Sì, è vero, hai subito, ma tu …? E durante … e dopo?” come del resto accaduto in questo caso dove, come scrive la persona vittima della violenza: “… in 19 ore di processo in cui é stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale. Essere vittima di violenza e denunciarla è un’arma a doppio taglio: verrai creduta solo e fin tanto che ti mostrerai distrutta, senza speranza, finché ti chiuderai in casa buttando la chiave dalla finestra … ma se mai proverai a cercare di uscirne, a cercare, pian piano di riprendere la tua vita, ti sarà detto 'ah ma vedi, non ti é mica successo nulla, se fossi stata veramente vittima non lo faresti'. Così può succedere quindi che in sede di processo qualcuno tiri fuori una fotografia ricavata dai social network in cui, a distanza di tre anni dall’accaduto, sei con degli amici, sorridi e non hai il solito muso lungo, prova lampante che non è stato un delitto così grave.”

Tale sentenza del tribunale di Firenze, ci riporta tutti indietro di molti anni e non soltanto non restituisce alla vittima la dignità calpestata, usurpata, ma anzi la colpevolizza, utilizzando tutta una serie di pregiudizi, per merito dei quali a una donna viene negato il primordiale diritto di ricevere dalla giustizia che si conferma quella borghese, alcun riconoscimento al dolore.

Gli ingredienti ci sono tutti e partono da lontano: una sentenza che va contro le donne, una giustizia che dovrebbe tutelare la vittima, ma che di fatto, altro non è, che una giurisprudenza, specchio della demolizione dello stato sociale, in cui il negare i diritti diventa routine e negarli a una donna è ancora più facile, perché da sempre l’anello che funzionalemnte si stabilisce, debole, di una catena.

Una sentenza del genere crea presupposti pericolosi: tecnicamente i sei ragazzi sono stati accusati di essere stupratori, ma una corte ha stabilito che non lo sono, quindi sono stati calunniati; e se pensassero di rivalersi a fronte di questa accusa? L’altro presupposto è che questa, sia sentenza che si renda paradigmatica, alla quale altri processi che simili si sono avvicendati potrebbero comunque rifarsi, fomentando una cultura maschilista, nell’ambito della quale è bene che una donna sappia come ci si comporti, avallando come fondante, il contributo di una cultura patriarcale ancora presente, che ne stabilisca i confini nell’uso prima ancora del proprio corpo, della gestione dei propri spazi vitali e della volontà di autodeterminazione, tanto che complice - nell’aula del tribunale - non ne realizza l’orrore del reato che a questa volontà del fare e dell’essere al di là dello steccato imposto, penalizza ma bensì ne pone brutalmente il freno e la restituzione di una vergogna che da chi ferisce è tutta di chi è ferito e in questo caso della donna abusata, stuprata, vilipesa.

D’altronde basti pensare a come sia dura a morire una cultura del genere se si pensa che solo meno di cinquanta anni fa, il reato di violenza carnale cessò di essere reato contro la morale pubblica, per diventare reato contro la persona. Il reale problema è che la società rimane ancorata a certi suoi schemi in cui il dominio dello sfruttamento si fa cardine, è il cardine, come nel dare per scontato che lo sfruttamento del più debole a vantaggio di sé, sia atto dovuto, merce da riscuotere e di proprietà.

E si realizza estremamente violento e vendicativo, nei riguardi del mondo femminile, soprattutto di quello che rivendica. La donna che rivendica, è la donna che chiede di poter esperirsi pienamente senza il timore di una rappresaglia, di un assalto sessuale, di un’umiliazione e che dunque non aspira ad essere protetta men che mai da chi ne stabilisca come necessario, per quegli anticorpi stessi che il sistema pone a propria difesa in prerogative e possibilità ed è non solo ma anche - e questo di appannaggio per e di tutte - una donna che se può se vuole, far tardi la sera, utilizzandone la possibilità di scelta che si rende diritto inalienabile, senza un corifeo che intona: "Era stata avvertita, conosceva limiti e pericoli a questi inevitabilmente corrispondenti ed era cosciente che chi al buio va per queste strade, di questi lupi incontra!". 

E pertanto:
Il Partito Comunista dei Lavoratori di Firenze aderisce e partecipa in maniera convinta alla manifestazione La libertà è la nostra “fortezza”.
La libertà è la nostra “fortezza”
Ci riprendiamo la Fortezza perché …
- le motivazioni della sentenza di Firenze sono inaccettabili; - questa sentenza ha leso l’autodeterminazione di tutte le donne; - il processo è stato fatto alla ragazza e alla sua vita; - vogliamo sapere perché la procura generale non ha fatto ricorso facendo scadere i termini.
Riaffermiamo la nostra libertà: siano processati i violenti e non le vittime!
Non vogliamo essere giudicate per come ci vestiamo, per il nostro orientamento sessuale e i nostri comportamenti.
Troviamoci martedì 28 luglio alle 21,00 all’ingresso principale della Fortezza da Basso in piazza Bambine e Bambini di Beslan, Firenze.

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