19.11.13

L'ANTIFASCISMO



Credi che l’antifascismo sia una lezione imparata, metabolizzata e mandata a memoria, pensi che questa sia stratificata nelle coscienze, credi che un regime che fu motivo di dolore, povertà, devastazione, privazione della libertà di pensiero ed opinione, omicida di coscienze intellettuali e povera gente, giunga fino a noi come l’eco di un orrore da non ripetere, provare a comprenderne le dinamiche sì, ma senza fascinazioni, con lo sguardo attento di chi vuol capire, non giustificare o ripercorrerne la nostalgia. Ora però che la memoria stinge, perché i preziosi testimoni della storia, vengono a mancare e spesso i libri di storia, subiscono le ingiuste rimozioni dei revisionisti, non di rado, ci ritroviamo a dover sopportare re-interpretazioni, mistificazioni, inesattezze, colpevoli omissioni. Ci si può chiedere cosa c’entri questo, con l’odiosa aggressione del 9 novembre ai tre compagni militanti, eppure le responsabilità sono tante e diffuse. 



Sono responsabili questi vent’anni di corruzione che hanno esaltato la piccineria, la furbizia da palazzinaro e inteso la cultura, la conoscenza come merce ad uso e consumo di propaganda, quando andava bene ma per lo più appannaggio di pochi da ghettizzare, irridere. Del resto, studia, legge, si interroga, chi decide per la strada più lunga e non priva di incognite, si pone domande, sempre chi non considera la mercificazione come il mezzo più rapido per ottenere ciò che si vuole, chi percepisce il dovere di essere al mondo, senza scorciatoie. Sono responsabili questi anni di Stato di polizia, dove le emergenze, create da un governo borghese, massone, sono state tacitate con l’esercito al Sud e in Val di Susa per la repressione, con i controlli, con la colpevolizzazione di chi aspira ad altro e forse anche meglio, alla retorica ad uso e consumo di quello stesso sistema politico pronto a demonizzare il dissenso con la retorica del manifestante cattivo, dei black block, rifilando puntualmente tutti infiltrati di cossighiana memoria ai cortei, all’orrore della Diaz e ai nostri martiri, ai Carlo Giuliani, ai Federico Aldrovandi, agli Stefano Cucchi, colpevoli solo di essersi imbattuti in forze dell’ordine che politiche destrorse, ne hanno rafforzato l’idea, la consapevolezza di avere carta bianca, di poter agire indisturbate e di non subire se non in rari casi, conseguenze giudiziarie per i propri gesti, quasi sempre risolti in abusi di potere. Sono responsabili anni di indebolimento, che hanno consentito l’abbandono il lassismo, la perdita di ogni punto di riferimento. Un tempo le Università erano luoghi in cui le idee circolavano, di incontro, confronto e scontro. Con l’accorpamento o il taglio di interi corsi di laurea, privatizzazioni mirate e tese a rendere gli atenei delle aziende, rettori diventati dei manager, riforme atte ad indebolire la reale capacità di costruzione, esautorando le rappresentanze universitarie in poche voci e con sempre minori spazi di intervento, si è smarrita l’idea della formazione continua, della conoscenza a servizio delle idee e capaci davvero di incidere sulla società, piuttosto che omologarsi a questa. Sono responsabili dunque l’ignoranza e per ignoranza, non intendo le tante piccole e grandi conoscenze specialistiche che abbiamo maturato per l’illusione capitalista di far parte di un processo produttivo, che per la maggiore, ci vede andar via, quasi sempre in un altrove del mondo, dove esistono gli stessi processi di appiattimento e di flessibilità, ma abbiamo dismesso la capacità di “essere umani”, di comprendere i processi che si determinano, che ci muovono, che non ci consentono di essere rappresentati, di intervenire politicamente, di non avere un futuro, impoveriti nelle coscienze e non solo. Perché nei processi di macelleria sociale, hanno macellato anche la nostra capacità di critica e di osservazione. Il malinteso della “democrazia”, ci ha portato ad un relativismo becero e superficiale, quello che ci racconta che gli estremismi si incontrano e si equivalgono, che “destra e sinistra sono la stessa cosa” , che “i politici sono tutti uguali”, che chi milita “infondo se la va a cercare” e che sai cosa? Infondo essere un po’ razzisti, indifferenti, lontani, quando si tratta di qualcuno o qualcosa di differente, va pur bene, perché ci preserva dal sentire ma anche dal comprendere i processi storici, che in vent’anni hanno dato sfogo al liberismo selvaggio e alle spinte autoritarie, alla disoccupazione di massa, all’ideologia del mercato e della globalizzazione. E così, in questo sfilacciamento, è successo che si sia perso di vista che organizzazione neofasciste, siano cresciute, diventando sempre più visibili, facendosi strada, in una demagogia odiosa, che le ha viste falsamente impegnate in attività di promozione sociale e alla ben nota e triste Forza Nuova, si sono aggiunte la squadrista Casa Pound, e gruppi di folli come i Militia, Casaggì, la Fenice e molti altri piccoli e grandi satelliti. E succede anche che in questo clima fatto di “che vuoi che sia”, di un Grillo che apre la porta anche alla destra radicale e quindi a Casa Pound (si definiscono “fascisti del terzo millennio” e con una vocazione laica, mostrando invece e a più riprese, forti di protezioni, il vero volto che è quello squadrista), accade che un Casseri spari in pieno mercato e uccida Samb Modou, Diop Mor e ferisca Sougou Mor, Mbenghe Cheike e Moustapha Dieng. Succede che in dieci contro tre, una sera di un novembre appena annunciato, si compia un vero e proprio raid ai danni di militanti che passeggiavano a piazza della Repubblica, estranei alla provocazione e all’esterno dal luogo dove era stato presentato un libro che vedeva molti esponenti dell’organizzazione. Perché succede che in un Paese che perde la memoria, ci si dimentica che il fascismo è un crimine, che non ci si può organizzare in movimento politico e in associazioni che si richiamino direttamente e indirettamente a tale ideologia, che farne l’apologia, è un reato e che non vi è nulla di “libertario” e progressista nel concedere loro spazi ed agibilità. E succede che nessuno punti il dito o denunci il sindaco che consente il concerto o il bottegaio che permetta ai fascisti di picchiare dei ragazzi appena ventenni. Chi ha memoria però sa bene che una tale folle ideologia va deprecata, osteggiata, combattuta, chi ha memoria, testimonia, con se stesso, con le sue parole e con le proprie azioni, chi ha memoria, ricorda le vittime e i compagni feriti da un pericolo che non appartiene solo al capitolo di un libro di testo. Chi ha memoria, era con noi il sedici novembre in corteo e per fortuna, questa non difetta e a tanti, dato che eravamo in più di mille e in diverse anime d’appartenenza ad urlare sdegno e rabbia e a sottolineare, ancora una volta che il fascismo è stato ed è (per chi con troppa faciloneria lo considera ideologia morta e poco perniciosa) un abominio, il volto feroce del capitalismo, capace ancora oggi di umiliare, ferire, ammazzare e che è estraneo ai processi di lotta delle masse popolari e che non ama il popolo, anzi. Decidiamo così di fare nostre le parole di Gramsci che in Mussolini e nel fascista vedeva giustamente “il tipo concentrato del piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica.” Noi che ricordiamo, la guardia, non l’abbassiamo. 

Resistenza Rossa.

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