23.12.13

POPULISMO E MARXISMO, NOTA DI RISPOSTA A PAOLO BABINI DEL PARTITO DEI CARC



Qualche giorno fa, il 18 di dicembre, abbiamo pubblicato una nota di critica del PCL Toscana alla posizione di appoggio del Partito dei CARC nei confronti del Movimento 9 Dicembre, peraltro successivo al loro prededente sostegno, anche elettorale, al M5S di Casaleggio e Grillo. Il giorno successivo, sul sito dei CARC veniva pubblicata la loro risposta affidata a Paolo Babini. Una nota molto critica e ferma nei confronti del Partito Comunista dei Lavoratori, peraltro espressa con apprezzabile correttezza nelle forme. Con altrettanta fermezza e correttezza sentiamo il dovere di replicare. 

Populismo e marxismo: nota di risposta a Paolo Babini del Partito dei CARC 


Marxismo e dogmatismo 

Il marxismo rivoluzionario non è una forma di catechismo, non è una cristallizzazione dogmatica del pensiero. Il marxismo rivoluzionario è il riflesso costante della realtà all’interno del cervello umano e il conseguente piano rivoluzionario di azione. Il marxismo rivoluzionario è la scienza che fonda il metodo di analisi, è il metodo di analisi che scala costantemente la montagna dei fatti concreti e su questa analisi elabora e sviluppa la propria strategia, la propria tattica e la propria organizzazione. Il marxismo rivoluzionario è: 
1) il complesso organico delle teorie scientifiche di Marx, Engels, Lenin, Luxemburg, Trotsky, Gramsci e il suo sviluppo sulle sue proprie basi (dialettica della natura, materialismo storico e dialettico, gnoseologia, economia politica, teoria dello Stato e dell’egemonia, teoria delle relazioni internazionali, teoria del sindacato); 
2) il metodo scientifico di: a) analisi della fase storica in corso; b) di ricerca storiografica; c) di sviluppo della teoria; 
3) il programma politico della rivoluzione socialista mondiale (strategia, tattica, principi dell’organizzazione); e 4) la morale rivoluzionaria. 

Gramsci e Trotsky 

Nei Quaderni, Gramsci osserva che il Bronstein è il teorico dell’attacco frontale nella fase in cui questo è causa di pesanti sconfitte. Dopo la seconda guerra, sulla base di questa nota dei Quaderni, gli stalinisti hanno arruolato Gramsci tra le proprie fila contro i seguaci di Trotsky. Ma la ricostruzione cronologica di Valentino Gerratana dimostra in modo scrupoloso, che il grande rivoluzionario sardo scrive quell’appunto sul Bronstein negli anni in cui la Terza Internazionale stalinizzata adottava la tattica disastrosa del socialfascimo, cioè dell’attacco frontale contro i riformisti per conquistare la direzione del movimento operaio. Stalin aveva rimosso la tattica leninista del fronte unico. Gramsci, recluso nelle carceri fasciste, non aveva e non poteva avere informazioni adeguate sulla lotta in corso tra la burocrazia russa e l’Opposizione di sinistra e sulle questioni dell’Internazionale. In queste condizioni, Gramsci attribuì la tattica socialfascista (attacco frontale) a Trotsky, quando invece la situazione era capovolta con Trotsky che sosteneva il fronte unico e Stalin che aveva imposto all’Internazionale l’avventurismo disastroso del socialfascismo. Il Partito dei CARC potrà citare Gramsci tutte le volte che vuole, potrà interpretarlo e utilizzarne le categorie analitiche, ma non potrà mai arruolarlo tra le file di Stalin o di Mao Tse Tung. Gramsci è stato fino alla fine un leninista. Trotsky ha continuato il leninismo nell’epoca del fascismo, del nazismo, della reazione termidoriana e della controrivoluzione della burocrazia russa e della Grande Depressione. Da una parte il leninismo, dall’altra lo stalinismo. Lo stalinismo è la negazione dogmatica del marxismo, è l’ideologia (falsa coscienza) che svolge la funzione di giustificare e coprire la pratica politica della burocrazia sovietica nata come “escrescenza parassitaria” dalla rivoluzione d’Ottobre. Il marxismo è la teoria che riflette la prassi; lo stalinismo è l’ideologia che giustifica una pratica politica controrivoluzionaria. 

Populismo e spontaneità 

Il Movimento 5 Stelle e il Movimento 9 dicembre rimangono reazionari anche se attraversati da contraddizioni, e rimangono reazionari anche se includono elementi proletari confusi. I più grandi movimenti reazionari dell’età contemporanea hanno incluso elementi proletari, anche masse proletarie numericamente importanti. Ma la questione è che questi movimenti non sono e non sono mai stati l’espressione spontanea delle masse proletarie, nemmeno di parte di esse. Elementi o masse di proletariato partecipano passivamente a questi movimenti, sono sempre a rimorchio di queste dinamiche reazionarie, hanno sempre una posizione subalterna, mai dirigente. La partecipazione proletaria ai movimenti reazionari è una delle forme attraverso cui la piccola borghesia esercita la propria influenza su una parte dei salariati. Il Movimento 5 Stelle e il Movimento 9 dicembre non sono movimenti spontanei, ma movimenti strutturati, organizzati e diretti. Nel Movimento 5 Stelle la direzione è centralizzata e segue due linee: la linea della centralizzazione telematica (Casaleggio) e la linea della centralizzazione carismatica (Grillo). La struttura organizzativa a rete, l’assenza di quadri intermedi, le norme statutarie minime, la proprietà individuale del simbolo, sono tutti elementi funzionali alle due linee di centralizzazione. Nel Movimento 9 dicembre l’organizzazione, anche se improvvisata, poggia su nuove corporazioni conflittuali nate dalla crisi delle tradizionali associazioni di categoria della piccola borghesia. Mentre Grillo è un demagogo di professione, nel Movimento 9 dicembre la direzione centralizzata è l’oggetto della contesa tra demagoghi non di professione, ma la direzione è presente, anche se attraversata da processi contraddittori. Nei movimenti populisti odierni è presente un solo elemento di spontaneità: il sentimento sociale profondo e diffuso di rifiuto verso gli attuali governanti europei, nazionali, regionali e locali, verso il ceto politico e amministrativo dell’Europa e dell’Italia. Ma le direzioni populiste hanno potuto rappresentare e organizzare questo sentimento spontaneo in conseguenza di due fattori combinati: 
1) il ritardo storico del Partito di classe; 
2) l’arretramento della coscienza di classe dei salariati, conseguente alla disgregazione materiale della classe lavoratrice. 
Questa disgregazione ha la sua origine alla fine degli anni Settanta con il declino della grande industria (Torino, Genova, Milano) e lo sviluppo dei distretti industriali (crescita delle piccole e medie imprese), è continuata negli anni Novanta quando l’imperialismo italiano è stato incapace (crisi di internazionalizzazione) di ricollocarsi nella nuova divisione mondiale del lavoro, nella nuova gerarchia imperialista mondiale aperta dalla restaurazione del capitalismo nell’Europa orientale e in Russia prima, in Cina dopo, e dallo sviluppo generale del capitalismo asiatico; e si approfondisce oggi con la crisi di recessione da sovraproduzione. 

Curva a gomito e curva dello sviluppo capitalistico 


Con l’espressione “curva a gomito”, utilizzata in senso figurato, noi indichiamo che nel 2007-2008 è esplosa a livello internazionale la crisi di recessione da sovraproduzione, la cui origine si colloca nella metà degli anni Settanta, quando è iniziata l’attuale fase storica discendente nella curva dello sviluppo capitalistico. Sottolineiamo che si tratta di una fase storica e non della fase di un ciclo maggiore o fase di un’onda lunga k. Fase storica è un concetto che esprime la dialettica struttura e sovrastruttura e che focalizza la funzione retroattiva della seconda sulla prima. Mentre applichiamo il concetto di ciclicità solo al breve periodo economico. L’attuale crisi internazionale di recessione da sovraproduzione è il prodotto naturale delle leggi oggettive del modo capitalistico di produzione: legge della sovraproduzione/sottoconsumo, legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, legge della sproporzione tra i rami della produzione. La sovraproduzione attuale ha iniziato a manifestarsi a metà degli anni Settanta, ma è esplosa solo nel 2007-2008, dopo un processo contraddittorio durato circa un trentennio tra le tendenze alla crisi e le relative cause antagoniste. L’aumento del saggio di sfruttamento della forza lavoro (politiche neoliberiste), la diffusione del capitalismo nelle aree geografiche arretrate, la restaurazione del capitalismo nell’Europa orientale, in Russia e in Cina, il conseguente aumento della concorrenza all’interno del proletariato mondiale, il conseguente abbassamento dei salari e delle condizioni di lavoro, sono tutti fattori che per circa trent’anni hanno posticipato in avanti nel tempo l’esplosione della crisi. Ogni posticipazione aumentava l’intensità e l’estensione spaziale del potenziale di crisi. Ora le cause antagonistiche sono state sovrastate dalle cause di crisi, il potenziale di crisi si è trasformato in realtà, l’esplosione (che è solo una prima esplosione) del 2007-2008 ha trasformato l’angolo di inclinazione della fase discendente della curva dello sviluppo capitalistico. E lo ha trasformato nel senso che quello che prima si muoveva lentamente verso il basso, ora si muove velocemente e tende a scardinare tutto il complesso sovrastrutturale. 

Conclusioni 

Paolo Babini afferma la necessità di un costante miglioramento dei militanti e delle organizzazioni comuniste. Ha ragione. Questo miglioramento avviene e avverrà nel vivo delle lotte, dove il Partito Comunista dei Lavoratori combinerà sempre la ricerca della massima unità d’azione delle forze anticapitaliste con la massima fermezza nella demarcazione teorica, strategica e organizzativa. 

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI - COORDINAMENTO TOSCANO

Nessun commento:

Sostieni il PCL

Sono in vendita le nuove magliette del PCl a 12 € l'una più spese di spedizione, mettiti in contatto con la nostra mail per acquistarle