16.1.14

#ARIELSHARON: UN SIGNORE DELLA GUERRA



Ariel Sharon, ex generale di brigata dell’esercito israeliano, è morto l’11 gennaio di quest’anno; in verità la sua storia è terminata circa otto anni fa, quando un’emorragia cerebrale lo mise definitivamente fuori gioco, costringendolo in uno stato vegetativo, tenuto in vita da macchinari e tecnologie. 
Il PCL si occupa di lui, non per celebrare il personaggio, ma per puro dovere di cronaca, rigettando quella prassi intellettualmente oscena del riabilitare i morti, specie se potenti: nel caso di Ariel Sharon, va detto a muso duro, che è stato un criminale di guerra, che il suo operato ha provocato moltissime morti evitabili, di palestinesi ma anche di israeliani e sofferenze indicibili per milioni di persone e che ha allontanato di molti anni la possibilità concreta della pace in Medio Oriente. 



L’esordio lo ebbe nel ’53, ancora militare fu responsabile dell’uccisione di sessantacinque abitanti, fra i quali donne e bambini, del villaggio palestinese di Qibya, ma il peggio, sicuramente, lo raggiunse con i fatti di Sabra e Shatila. È il caso di ricordare, velocemente, quale meccanica portò a quegli eventi: nel giugno dell’82, l’esercito israeliano iniziò l’assedio di Beirut, accerchiando i combattenti dell'OLP e dei suoi alleati; tra alterne vicende, si giunse a un accordo, siglato tra USA, Israele e i falangisti di Bashir Gemayel (futuro presidente del Libano e figlio di Pierre Gemayel, uno dei fondatori delle Falangi), che consentisse lo svuotamento dei campi profughi e di proteggere i palestinesi da evacuare, accordo che recitava: “I Palestinesi non combattenti, rispettosi della legge, che siano rimasti a Beirut, ivi comprese le famiglie di coloro che hanno abbandonato la città, saranno sottoposti alle leggi e alle norme libanesi. Il governo del Libano e gli Stati Uniti forniranno adeguate garanzie di sicurezza ... gli USA forniranno le loro garanzie in base alle assicurazioni ricevute dai gruppi libanesi con cui sono stati in contatto.”. Le cose andarono diversamente, troppo noti sono quegli avvenimenti per poterli riportare in maniera approfondita in queste righe, basta ricordare che il 14 settembre 1982, Bashir Gemayel fu ucciso in un attentato organizzato dai servizi segreti siriani con l'aiuto dei palestinesi, dopo di che, il pomeriggio del 16 settembre, Sharon, che all’epoca era ministro della difesa, tradendo tutti i patti siglati, ordinò ai suoi uomini e ai suoi carri armati di sigillare i due campi, in maniera tale che nessuno potesse entrare o uscirne, poi dette il via libera ai falangisti che, in nome della vendetta per la morte di Gemayel, operarono un autentico genocidio: entrati nei campi, indisturbati, meticolosi, casa per casa, anfratto per anfratto, lavorarono di coltello e di kalashnikov. Ne furono ammazzati duemila o forse tremila, ma sono numeri che le fosse comuni, oramai, custodiscono in maniera definitiva. Tra le varie testimonianze di giornalisti presenti al fatto, quella di Elaine Carey (Daily Mail del 20 settembre1982) è forse quella che meglio descrive il clima di questa mostruosità: “Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L'odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut, ma, in qualche modo, l'uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore.”. Questa, è la peggiore delle azioni dell’ex generale Sharon, ma il personaggio era questo e ancora altro; dovette sottostare a un'inchiesta internazionale: la Commissione Kahan che, nell’83, arrivò a queste conclusioni: “Abbiamo stabilito che il ministro della Difesa (Ariel Sharon) ha la responsabilità personale.”, ma non subì più di questo per aver autorizzato quelle 36 ore di inferno in terra, tanto è che proseguì nella sua carriera politica sino a diventare, nel 2001, primo ministro. Non ha risparmiato niente al popolo palestinese, la politica degli “insediamenti”, (che in pratica vuol dire impadronirsi proditoriamente di casa, terreno e proprietà altrui, per costruirci abitazioni da destinare ai “coloni”), altri campi profughi, miseria diffusa, prigionia su accuse mai provate o su semplici sospetti, restrizione della libertà personale a intere comunità tenute bloccate in zone di territorio, vere e proprie azioni di guerra dove i soldati del super tecnologico e addestrato esercito di Israele si sono confrontati con civili inermi, spesso donne e bambini, il tutto edulcorato, per un pubblico internazionale, con l’abusato ritornello di ricercare la pace. Non è stato dissimile da molti leader israeliani, anche in quella che è sicuramente una colpa grave di molti di loro: l’uso politico della Shoah, adoperata a giustificazione di molte nefandezze uguali a quelle che lo stesso popolo ebraico ha subito. Continuare la narrazione del personaggio è una sorta di “al peggio non c’è mai fine”; a prescindere da quelle che sono state le scelte politiche, corroborate dal suo esecutivo, ci sono anche da raccontare sue scelte personali, sulle quali ogni considerazione non può esimersi dal dire che siano state fatte unicamente per sfidare, per umiliare, per rendere oltraggio, per ribadire una superiorità corroborata dal sionismo mondiale nel segno della proterva volontà di cancellare un intero popolo. Provocatoria fu la sua scelta di andare a vivere nel cuore di Gerusalemme, vicino alla via Dolorosa (percorsa ogni anno da milioni di pellegrini cristiani), ma il gesto più eclatante fu sicuramente la "passeggiata sulla spianata della Moschea": il 28 settembre 2000, allora capo dell'opposizione, accompagnato da una scorta armata sino ai denti, Sharon fece il suo ingresso in quello che è un luogo sacro per i musulmani, dove si erge la Cupola della Roccia in cui Maometto, secondo la leggenda islamica, compì il suo miracoloso "viaggio notturno": luogo tradizionalmente controllato dai palestinesi. Con questo gesto Sharon volle ribadire che anche quella zona di Gerusalemme faceva parte di Israele, ma è ovvio che la provocazione fu raccolta come una profanazione e questo innescò la Seconda Intifada, caratterizzata da durissimi scontri che andarono avanti per cinque anni e causarono più di mille morti che si andarono ad aggiungere alla lunga lista di quelli dei quali Sharon era già direttamente responsabile. 

R.R.

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