28.5.14

I TANTI VOLTI DELLO SFRUTTAMENTO E UN SOLO PADRONE: LO STATO BORGHESE

Il CAAT è il centro agro alimentare di Torino, che gestisce e da dove parte, la distribuzione dei prodotti agricoli, per l’intero territorio della città, ovviamente è un luogo, dove la parola lavoro ha significato e connotazione in cui precarietà, sfruttamento, sconfessione di qualsivoglia diritto, rappresentano una normale condizione e dove è del tutto assente anche il concetto di umana solidarietà, quella primordiale, quella che unisce due animali della stessa specie, stabilendo, invece, che in quel posto esistano persone di qualità inferiore.
I lavoratori, per buona parte migranti, sono assoldati con il controllo di cooperative che utilizzano metodi, a dir poco, da caporalato, sono sottopagati, sottoposti a continui ricatti, costretti a orari massacranti, privi di ogni forma di garanzia.
Stanchi di questa condizione indecente, i lavoratori del CAAT hanno dato il via a un presidio a oltranza dei cancelli dello stabilimento con l’obiettivo di bloccare il normale svolgimento delle operazioni, il tutto per richiedere e tentare di ottenere garanzie di cambiamento della propria condizione lavorativa.
Le fasi successive a questa decisione sono state un montare della protesta e un rafforzamento del presidio, grazie all’arrivo dei successivi turnisti e di quanti si recano sul posto sperando nell’ingaggio di una giornata: tutti hanno aderito alla protesta, rendendo, in breve, gremito il piazzale antistante ai cancelli, con l’aggiunta del formarsi di una coda di centinaia di metri formata da camion e camioncini, bloccati all’esterno senza possibilità di ritirare la merce.
È partita subito la trattativa e i lavoratori sono riusciti a strappare la promessa di regolari assunzioni, determinati, però, a non recedere dalla propria azione, se non in presenza di fatti più concreti delle promesse e allora, come da copione, sono intervenute le forze dell’ordine per ripristinare le dinamiche lavorative tanto care e desiderate dai padroni.
Senza dilungarsi molto su quanto accaduto, basta dire che la carica della celere è stata particolarmente pesante, in gioco c’era la necessità di dover rimettere in moto l’intero circuito del commercio cittadino, ma i lavoratori con coraggio hanno resistito alla violenza della polizia e sta di fatto che, nonostante la carica, il blocco sia ancora attivo.
Fatti del genere confermano, se ce ne fosse bisogno, la presa di coscienza dei lavoratori della logistica nel rifiutare le dinamiche di sfruttamento e le quotidiane angherie vissute sulla propria pelle e che una siffatta protesta, che colpisce nel cuore della grande distribuzione, possa fare male, molto male e, in più, testimoniano le due costanti di storie come questa: i diritti violati dei lavoratori e l’utilizzo, da parte dei padroni, delle forze di polizia, perché tali diritti rimangano violati.
Assieme alle riflessioni che questa storia porta a fare, c’è un’altra storia, fatta di una violenza diversa, meno appariscente, più subdola, strisciante e devastante fino a poter causare conseguenze estreme, infatti, non si può non parlare di Maria Baratto, operaia FIAT, morta suicida di cassa integrazione, addetta al reparto logistico di Nola, un reparto fantasma, mai entrato in funzione, dove trecentosedici operai sono in cassa integrazione da sei anni.
Maria era una combattente nata, di quelle che alla lunga lasciano il segno, abituata a ragionare e a far ragionare nelle cose che scriveva, era di quelle che sosteneva che : “La lotta dei lavoratori Fiat contro il piano Marchionne e a tutela dei diritti e dell’occupazione, rappresenta un forte presidio di tenuta democratica per l’intera società!”, ma alla fine non ce l’ha fatta, a luglio sarebbe scaduta la cassa integrazione e le prospettive erano meno di zero: un mercato del lavoro inesistente, dove quarantasette anni pesano come un macigno, sono la garanzia assoluta che non lavorerai più e se ti toccasse la sorte di farlo, la prima delle condizioni sarebbe la tua dignità di persona messa sotto i piedi.
Non ce l’ha fatta, si è ammazzata con quattro coltellate al ventre lo scorso martedì 20 maggio nella sua casa di Acerra, quasi a voler firmare con un gesto particolarmente feroce, lei che era abituata a far ragionare scrivendo, tutta la disperazione che man mano ha cancellato la sua voglia di combattere.
La ricordiamo con quanto lei stessa scrisse nel suo articolo Suicidi in FIAT, postato il 2 agosto 2012 su www.comitatomoglioperai.it, forte documento di accusa alla Fiat e alle complicità istituzionali, politiche e sindacali “che stanno contribuendo al fenomeno dei suicidi operai”cassintegrati come lei:“Non si può continuare a vivere per anni sul ciglio del burrone dei licenziamenti, l’intero quadro politico-istituzionale che, da sinistra a destra, ha coperto le insane politiche della FIAT e’ responsabile di questi morti insieme alle centrali confederali.”. 
La sua cassa integrazione sarebbe scaduta nel prossimo luglio.

Purtroppo questo è il dramma dello sfruttamento che tutta consuma e brucia. Dolore, disperazione, futuro ipotecato ad un domani che non arriva mai. La crisi è sicuramente del capitale, che ancora però è sufficientemente forte da mietere vittime al punto che, anche la semplice ottemperanza di un contratto nazionale, è considerato dal padronato una limitazione insopportabile a quelle che di fatto, sono vere e proprie forme di schiavitù imposte a forze lavoro, sempre più precarie e quindi particolarmente ricattabili.

A tanto dolore, a tale iniquità sociale la rabbia si fa grande. La nostra solidarietà di classe è dunque per tutti quei lavoratori che combattono, nonostante le restrizioni, i sacrifici, i ricatti ed infine il job act, come ultimo rituale ad una macelleria sociale che ha cuore il MERCATO e non le persone, se non ne nella logica più bieca ed evidente del profitto. Lavoratori che lo Stato borghese rende inermi e merce di scambio, lavoratori che esautorati fino al midollo, spesso, non trovano altro rimedio che darsi la morte.

E pertanto il PCL, non arretra di un passo, in tutte le lotte che stiamo portando avanti, convinti a conquistare e a riscattare quelle che sono istanze inalienabili: lavoro, diritti e dignità per tutti.

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