9.12.14

IL PIRATA DEL PORTO DELLE NEBBIE




Il porto delle nebbie è un romanzo poliziesco di Georges Simenon, scritto nel 1932, il cui protagonista è l’inossidabile commissario Maigret che si ritrova ad avviare l’ennesima indagine sullo sfondo dell’ambiente umido e nebbioso del piccolo porto di Ouistreham (Francia, dipartimento del Calvados nella Bassa Normandia), dove, tutto quanto serve a lui per risolvere il delitto, sembra irrimediabilmente scomparire in quelle nebbie, sino a quando, secondo un copione consolidato, non riesce a risolvere il mistero.
Negli anni tra il ’70 e il ’90, il tribunale di Roma si conquistò questo titolo a causa di una serie di operazioni mai del tutto rese chiare: sospetti, indagini contese con altri tribunali, dalle schedature FIAT allo scandalo dei petroli, passando per i fondi neri IRI e la Loggia P2; un elenco che tocca anche Tangentopoli, con le inchieste romane che, per usare un eufemismo, non produssero gli effetti di quelle milanesi.
Oggi quelle le nebbie sono un brutto ricordo, ma una coltre ben più pesante sembra essersi distesa su segmenti di quella caput mundi nei quali criminalità, politica e affari vivono una perfetta amalgama, motivo per cui la procura di Roma mette la città sotto inchiesta e la mette sotto inchiesta per MAFIA.
Trentasette arresti, cento indagati, millecentoventitrè pagine di intercettazioni, i palazzi della politica perquisiti, un libro mastro con nomi e relative mazzette; tutto questo fa a pezzi la politica romana, ne distrugge la credibilità e ha, sino a ora, provocato una serie di dichiarazioni fuori controllo, dove tutti si professano innocenti, dove tutti hanno fiducia nella magistratura, dove qualcuno si è dimesso (ma non si è capito da cosa) fino alla più patetica, quella di Gianni Alemanno, l’ex sindaco, che, nel proclamarsi anche lui innocente, si è auto investito del titolo di campione della lotta all’illegalità.
È un momento di estrema confusione: il PD romano è commissariato, il governatore della regione Lazio ha bloccato tutte le gare d’appalto, il sindaco Marino ha ipotizzato una giunta d’emergenza allargata ai 5 stelle che come da copione hanno detto prima forse e poi NO e in tutto questo la procura va avanti; nomi, soldi e intercettazioni diventano un caleidoscopio che offre ogni giorno nuove sfaccettature.
A metà degli anni 2000, per il basso Lazio, si iniziò a parlare di quinta mafia e qualcosa era accaduto e accadeva da quelle parti, riflettendo appena sul fatto che, in quella zona della regione, qualche affiliato alla camorra aveva stabilito la propria residenza, spostandosi dal confinante territorio campano di Caserta, terra di Casalesi, ma questa è un’altra storia.
Le avvisaglie romane di qualche anno fa oggi devono fare i conti con la Mafia Capitale, una mafia DOC, perché nasce a Roma, diversa da tutte le altre, caratterizzata dalla mutabilità della criminalità romana, armata e temibile.
Questo è quanto, in buona sintesi, dice Flavia Costantini, giudice per le indagini preliminari, che ha battezzato con tale nome questo ultimo sodalizio criminale.
Inaugura la lista degli arrestati quel Massimo Carminati (per molti er Cecato o er Pirata per aver perso un occhio in una sparatoria), terrorista, esponente dei neofascisti NAR, criminale comune affiliato all'organizzazione malavitosa romana conosciuta come la Banda della Magliana ed elemento di tramite tra quest’ultima e l’estrema destra romana, insomma un curriculum di tutto rispetto che gli consente, negli anni 2000 di diventare Il Re di Roma, così come di lui dice Lirio Abate, giornalista dell’Espresso.
Ottime capacità relazionali, è in grado di mettere d’accordo i clan, di stabilire una fitta rete di rapporti nella sua Roma, non esclusa la collaborazione informativa da parte di alcuni poliziotti infedeli.
Secondo il GIP Costantini, Carminati è senza dubbio il “capo indiscusso di Mafia Capitale”: ha potuto disporre senza intermediari di alcuni dei più stretti collaboratori del sindaco Alemanno, ha avuto il pieno controllo di politici e imprenditori, è un individuo dalle eccellenti capacità estorsive ed è in grado di intervenire, senza sbavature, nei meccanismi degli appalti comunali; questo è il quadro tracciato su er pirata e coincide esattamente con la sua storia.
Mutuando le sue capacità organizzative, agevolmente le adatta “alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma.” e quando la procura passa alla fase delle intercettazioni, Mafia Capitale è già un’indagine in fase avanzata, dove bisogna collocare solo alcuni tasselli per passare a quella degli arresti.
A Roma, dal 2008, l’amministrazione è nelle mani di Gianni Alemanno, il primo sindaco di quella città ad aver militato nelle fila dell’estrema destra; l’ex primo cittadino, non appena nell’inchiesta è venuto fuori il suo nome, dopo la sua auto investitura a difensore della legalità, si è subito affrettato a dichiarare di non aver mai conosciuto Carminati, solo che le intercettazioni testimoniano quali e quanto diretti fossero i rapporti di er Pirata con alcuni dei suoi uomini di fiducia: con Antonio Lucarelli, ex Forza Nuova, capo della sua segreteria, con Luca Gramazio, allora capogruppo del Popolo della Libertà o Riccardo Mancini, un passato di militanza nell’estrema destra, fino al 2012 amministratore delegato dell’azienda che gestisce i beni immobiliari dell’EUR, plenipotenziario del sindaco per i rapporti con gli imprenditori e della sua campagna elettorale nel 2008.
Il ragionamento su questa professione di innocenza è semplice, delle due, l’una: o Alemanno mente, allora è colpevole; o Alemanno veramente non si è accorto di cosa fossero le persone di cui aveva fiducia, allora è un incapace, cui è stato assurdo aver affidato il governo della capitale di questo paese.
Uno degli aspetti curiosi, in questa sorta di Romanzo Criminale, è che le differenze ideologiche vengono, di fatto, accantonate se si considera che l’altro protagonista di Mafia Capitale è Salvatore Buzzi, l’uomo delle cooperative rosse romane che diventa sodale di er Pirata.
La sua storia e quella della cooperativa di ex detenuti da lui fondata, è un racconto che la sinistra romana vive con commozione e, pervasi da questo sentimento, alcuni personaggi dell’attuale PD pensano bene, dopo aver riempito il loro cuore, di farsi riempire anche il portafoglio.
All’inizio degli anni 80, Buzzi fu condannato per omicidio, sconta la sua pena a Rebibbia, dove si comporta da detenuto modello, organizza spettacoli teatrali in carcere, ma soprattutto mette su una piccola impresa di inscatolamento di pomodori.
La sua attività di detenuto è benedetta da personaggi come Miriam Mafai e Pietro Ingrao che, sui pomodori di Rebibbia, scriverà un articolo sull’UNITÀ.
Uscito dal carcere, fonda la cooperativa 29 giugno che si occupa di ex detenuti e del loro reinserimento nel mondo del lavoro e grazie ad Angiolo Marroni, ala migliorista del partito romano e assessore al bilancio della provincia, avvocato, volontario in carcere, divenuto in seguito il Garante dei Detenuti, figura istituita per la prima volta da una Regione, suo vero consigliere e mecenate fin dal periodo della detenzione, ottiene un appalto, assegnato con grande urgenza, per il taglio dell’erba sulla via Tiberina.
Oggi quel detenuto che inscatolava pomodori è sempre a capo della 29 giugno, ma la cooperativa nel frattempo è cresciuta al punto di diventare una rete di cooperative, una sorta di holding, che dà lavoro a 1.200 persone e fattura 59 milioni di euro l’anno.
L’inchiesta poi è corredata da qualche foto che, senza voler definire compromettente, diventa oggi sicuramente imbarazzante e merita qualche spiegazione da qualcuno: siamo alla cena romana organizzata qualche settimana fa per il finanziamento del Partito Democratico e Buzzi è presente; e, sempre in tema di cene, c’è anche un’altra foto, quella fatta in un’analoga occasione, stavolta organizzata da Buzzi, siamo nel 2010, dove siedono al suo tavolo il presidente della Lega Coop, Giuliano Poletti, futuro ministro del lavoro nel governo Renzi, l’allora sindaco di Roma, Gianni Alemanno, Franco Panzironi, al vertice della municipalizzata dei rifiuti, Luciano Casamonica, il futuro assessore alla casa nella giunta guidata da Ignazio Marino e l’immancabile Angiolo Marroni, insieme al figlio Umberto, oggi deputato, all’epoca capogruppo dei democratici in Campidoglio.
Massimo Carminati, Il re di Romaer Cecato, er Pirata è quello che, nella Roma amministrata da Alemanno, apre a Buzzi alcune delle porte per lui ancora chiuse.
Il ruolo che gli inquirenti assegnano a Buzzi nell’associazione guidata da Carminati è quello di organizzatore: “Gestisce, per il tramite di una rete di cooperative, le attività economiche della associazione nei settori della raccolta e smaltimento dei rifiuti, della accoglienza dei profughi e rifugiati, della manutenzione del verde pubblico e negli altri settori oggetto delle gare pubbliche aggiudicate anche con metodo corruttivo, si occupa della gestione della contabilità occulta della associazione e dei pagamenti ai pubblici ufficiali corrotti.”.
Il cerchio si chiude in maniera perfetta: le cooperative nate all’ombra del Partito Comunista, commiste a personaggi della destra eversiva, sono al servizio della Mafia Capitale.
Il tassello più importante dell’inchiesta è la scoperta di una sorta di Libro Mastro, ritrovato nella perquisizione della casa di Nadia Cerrito, la segretaria personale di Buzzi, libro dove è tenuta la contabilità di tutti i pagamenti e dove, con puntuale precisione, sono elencate cifre corrisposte, date e persone cui sono state versate: pesci grandi e piccoli della politica romana, funzionari e dirigenti comunali.
Uno dei nomi succulenti con cui Buzzi è in stretto contatto è Franco Panzironi, sul suo libro paga a quindicimila euro il mese, fedelissimo di Alemanno, ex amministratore delegato dell’azienda per i rifiuti, anche lui finito agli arresti.
Panzironi è socio fondatore della Nuova Italia, la fondazione di Alemanno, sulla quale piovono una serie di bonifici, in particolare, nel novembre 2012 le cooperative di Buzzi rimettono alla Nuova Italia, la cifra di trentamila euro, proprio nel momento in cui il comune approva i provvedimenti di bilancio: in ballo ci sono i soldi per le aree verdi, per i campi ROM e per i minori dell’emergenza in Nord Africa.
Nelle intercettazioni Buzzi vanta una serie di rapporti anche con molti personaggi del PD, i nomi venuti fuori sono quello di Mirko Coratti, presidente del consiglio comunale, che, indagato, si è dimesso il giorno degli arresti, quello di Franco Figurelli capo della segreteria di Coratti, quello del consigliere regionale Eugenio Patanè.
In realtà Buzzi è un personaggio che niente può descrivere meglio della sue stesse parole: “Io pago, pago tutti … finanzio giornali, faccio pubblicità, finanzio eventi, pago segretaria, pago cena, pago manifesti, specie quando c’è la campagna elettorale per le comunali, questo è il momento che pago di più …”.
I ritorni a tutto questo attivismo sono tanti e una delle cose che fa proprio gola alla 29 giugnoè la gestione dell’accoglienza dei migranti e quella dei campi ROM e niente può spiegarne il perché se non quanto dice lo stesso Buzzi, intercettato mentre parla a telefono con Sandro Coltellacci, presidente della cooperativa Formula Sociale: “Tu c’hai un’idea di quanto ce guadagno con gli immigrati? Il traffico di droga rende meno.”.
Ed è a proposito di immigrati che spunta anche la figura di Luca Odevaine, ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni quando era sindaco, persona alla quale quest’ultimo aveva affidato tutta l’area della sicurezza, dalle occupazioni delle case ai campi rom, chiamato poi da Nicola Zingaretti a coordinare la polizia e la protezione civile della provincia, persona che Buzzi vorrebbe capo di gabinetto del sindaco Marino e persona che, sempre secondo quanto Buzzi dice nelle sue telefonate, è un suo stipendiato a cinquemila euro il mese.
In questo momento c’è caos totale e è tutto fermo, sia in Comune che in Regione dove Buzzi ha millantato contatti e qualcuno stipendiato da lui, in grado di garantirgli i rapporti con il governatore Nicola Zingaretti.
Da questa sorta di brodo primordiale dove gli ingredienti da individuare sono ancora molti, probabilmente verranno fuori altri nomi, qualcuno blasonato, qualcun altro un po’ meno, ma la certezza del momento è che sono in molti a non essere sereni: chi ha qualche peccatuccio imbarazzante che vuole tener nascosto e chi è cosciente di dover rispondere, prima o poi, di qualche reato.
Ora c’è chi attende i tempi della giustizia e del suo corso. La giustizia borghese però è la collusa, quella che tirata dal bavero da un bubbone troppo grande, insiste nella cura ad un terminale che sa non troverà sollievo. Quella che si autoassolve e si riscatta e dunque restano le forti perplessità riguardo al fatto che la magistratura riesca a fare terra bruciata e che i responsabili di tutta questa melma scontino le loro colpe: staremo comunque, pur se ‘confortati’ dai nostri più che legittimi dubbi, a vedere ciò che accade (o che più pacificamente non accadrà).

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