4.2.15

Turchia: sciopero dei metalmeccanici e le difficili scelte sindacali

La Turchia non ha una grossa tradizione di lotte sindacali, o meglio quanto accade in quel paese a livello di scioperi è sempre scarsamente conosciuto in ambiti internazionali perché la borghesia, guardiana della conservazione, si preoccupa sempre di promuovere black-out mediatici che impediscano la diffusione di certe notizie.Qualcosa, però, deve essersi stavolta inceppato nei meccanismi di copertura dell’informazione perché è dal 29 di gennaio che quanto accade tra gli operai metalmeccanici, è notizia comune diffusa oltre i suoi confini.Quello che avviene è epocale: gli operai di ventidue fabbriche sono scesi in sciopero, con il coordinamento del Birlesik Metal-Is, un sindacato di sinistra aderente al DISK.

Ma la cosa sembra destinata a uno sviluppo che non potrà non lasciare il segno nella vita sindacale di quel paese: dal 19 febbraio, infatti, altre venti fabbriche aderiranno allo sciopero per cui si calcola che il numero complessivo di quanti protestano potrà toccare le ventimila unità, delle quali, almeno i tre quarti sindacalizzate e il tutto creerà non pochi problemi ai benpensanti di province come Osmanye, Hatay, Mersin, Konya, la stessa Istanbul e altre.

Questo è uno sciopero che ha radici profonde e motivazioni sacrosante: si pone come primo obiettivo la cancellazione dell’accordo ultimamente firmato dai sindacati Türk Metal affiliato alla Türk-Is che è la Confederazione dei sindacati della Turchia e il Celik-Is, affiliato a Hak-Is, che si definisce Sindacato europeo. L’aspetto più vergognoso dell’accordo, che tra l’altro ha la durata di tre anni, prevede la diminuzione dei salari bassi e di contro la crescita di quelli alti, rendendo in maniera indecente più ampio il divario tra le differenze retributive: la retribuzione iniziale di un neoassunto è passata da 5,80 a 5,66 lire turche l’ora e questo è un salario che colloca quanti lo percepiscono, al disotto della soglia di povertà.

Sindacalmente la Turchia è piuttosto mal messa: i contratti nazionali sono proibiti per legge e gli accordi che vanno oltre il livello meramente aziendale sono davvero rari; questo firmato dalla Türk Metal è l’esempio più cialtrone di quanto un sindacato possa esser funzionale e prono ai dettati del padrone: il primo aspetto è che con le decisioni avallate consegna in maniera permanente una situazione di salari bassi, portandoli al di sotto del minimo stabilito per legge, ma la cosa più ignobile di tutta questa meccanica è il fatto che a mansioni identiche corrispondano, in molti casi, retribuzioni diverse, il tutto secondo la più bieca delle logiche padronali. Il settore metalmeccanico, in Turchia, occupa circa un milione e mezzo di lavoratori e conta, considerato lo scenario in cui nel paese si muovono certi meccanismi, uno dei tassi più alti di sindacalizzazione, in effetti, si è intorno al 16%, ambito nel quale la Türk Metal con un buon 12% fa la parte del leone, mentre il residuo 4% se lo dividono il Celik-Is e il Birlesik Metal-Is, lo scenario devastante è che i sindacati sanno esattamente e la cosa non li turba affatto, che il 70% degli operai metalmeccanici è sottopagato, ma finalmente sembra che queste maestranze abbiano deciso di riprendersi il proprio futuro e la prima richiesta è quella che si aumentino i salari bassi.

La Türk Metal, comunque, al suo attivo ha già la vergogna di accordi al ribasso, o almeno il tentativo di ratificarli: nel 2009 aveva accettato un taglio del 35% ai salari della Eregli Iron e alla Steel Factories due acciaierie attive a Zonguldak, città della Turchia, sulle coste del Mar Nero, nell’omonima provincia, ma, purtroppo per i padroni, la cosa non andò a buon fine perché gli operai occuparono i suoi uffici e riuscirono a bloccare la manovra.La Türk Metal ci ha riprovato nel novembre 2012 alla Renault di Bursa, a sud del Mar di Marmara, ma anche lì, i mille e cinquecento operai della fabbrica, tesserati Türk Metal, indignati e inaspriti perché il sindacato aveva preso decisioni sulla loro pelle, senza uno straccio di consultazione, sono riusciti a bloccare l’operazione, ma non solo, a macchia d’olio, tutti i cinquemila operai della Renault, che è la seconda fabbrica automobilistica del paese, posseduta al 49% da Oyak, cioè il Fondo Pensioni delle Forze Armate turche, hanno rigettato l’accordo, chiedendo le dimissioni di quanti avevano firmato una simile vergogna e minacciando di bruciare le loro tessere e in tutto questo c’è anche da considerare che quando ti trovi di fronte un padrone che è l’esercito del tuo paese, magari le cose sono un po’ più complicate.

In Turchia, la burocrazia che riguarda l’appartenenza di un lavoratore a un sindacato è una cosa che definire “indecente” è una gentilezza: chi sceglie un sindacato praticamente lo fa a vita, la legge, infatti, rende estremamente difficile lasciare una tessera e acquisirne una diversa; quella che è un’operazione generalmente semplice e tassello primordiale dei diritti di un lavoratore, in Turchia deve passare per le mani di un notaio, (quindi spese da parte del lavoratore), una richiesta in cinque copie e il pagamento di una penale equivalente a più di una settimana di lavoro; è ovvio che questa meccanica, prima ancora di esser costosa, spaventi.

Contro le rivendicazioni degli operai sono intervenute le guardie giurate della Türk Metal, alle quali si sono accompagnati gruppi fascisti, che, di fatto, non avevano titolo alcuno a entrare nella faccenda e la polizia, il tutto, ovviamente, lasciando parecchi feriti tra chi protestava. Assieme agli operai, anche i giornalisti della stampa di sinistra, colpevoli di aver voluto pubblicizzare i fatti, hanno ricevuto la loro buona dose di pestaggi, il tutto in un insieme che vede l’esercito imprenditore automobilistico e la polizia vivere in perfetta armonia con una sorta di marmaglia fascista, i cui esponenti di spicco sono oramai presenti, in maniera plateale, anche nei vertici sindacali.Per meglio far capire che panni veste la Türk Metal, basta dire che ha un lupo come simbolo, una sorta di totem preislamico scelto anche dai famigerati Lupi Grigi e che il suo ex leader, Mustafà Ozbek, personaggio conosciuto soprattutto per la sua immensa ricchezza, proprietario di alberghi a cinque stelle, giornali, televisioni e agenzie turistiche, è in galera per complicità in una cospirazione golpista, mentre Pevrul Kavlak, il suo successore, dopo essere stato per un decennio un fedelissimo degli alti papaveri dell’esercito, adesso tratta AKP ed Erdogan con ossequiosa devozione.Nel 2012, per solidarietà verso i propri colleghi, scesero in sciopero anche gli operai della Bosch, in seimila, il 75% degli iscritti, hanno restituito le tessere Türk Metal, affrontando le difficoltà che l’operazione comportava.

Quanto accaduto negli ultimi due anni dimostra che quegli operai, dipendenti di grosse fabbriche e che godevano, rispetto a tanti altri propri colleghi, di un trattamento leggermente migliore, adattandosi per questo all’azione di sindacati venduti e perfettamente collaborativi con il padronato (che in differenti realtà coincide con l’Esercito), oggi stanno scivolando verso la condizione degli operai delle piccole fabbriche, mal pagati, in condizioni di lavoro precarie e pericolose. Negli ultimi anni è stato divorato ogni sorta di piccolo vantaggio e oramai anche gli operai delle grandi industrie sono entrati in quel gigantesco tritacarne che è la crisi, dal 2009 al 2013 hanno visto i loro salari calare dell’11% e quindi scendono in lotta contro il padrone e, se serve, anche contro il proprio sindacato.Questo sciopero va a colpire gli interessi dei padroni grandi e piccoli, quelli della ricca e consolidata borghesia di Istanbul e quelli dei rampanti “giovani leoni” dell’Anatolia, ma colpisce anche gli interessi di una serie di multinazionali straniere che in Turchia hanno trovato il loro eldorado e nomi come Schneider, Alstom, ABB, Bosal, Bekaert, Federal Mogul, Prysmian, Isuzu, Candy Group e qualche altro, magari ora avranno qualcosa di cui preoccuparsi, anche se fino ad ora hanno avuto il pieno appoggio di Erdogan, che, malgrado le agitazioni di piazza, è riuscito a essere rieletto perché si è dimostrato guardiano fedele e garante dei profitti dei nuovi e vecchi borghesi turchi e degli investitori stranieri. Iniziare uno sciopero del genere in Turchia non è uno scherzo, quando si comincia, si va avanti, non lo interrompi per trattare aggiustamenti di sorta e se non vinci buona parte delle maestranze vengono licenziate e il sindacato organizzatore perde il diritto a trattare. MESS la Confindustria locale, ha minacciato la serrata, ma poi ha rinunciato e a rendere più dura la lotta c’è anche l’inverno, quest’anno rigidissimo e la fine dei risparmi, dopo anni di crisi tracciano la realtà sulla quale, quanti ignobilmente si auto referenziano leader sindacali, hanno potuto operare la svendita degli operai, stavolta però, forse hanno fatto male i loro conti.I metalmeccanici turchi si apprestano a una dura lotta e giustamente hanno chiesto la solidarietà internazionale degli operai degli altri paesi, per l’Italia ha risposto la Fiom, per l’Europa IndustriAll Europe e Alstom EWC.


RESISTENZA ROSSA

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