Qualche
giorno fa il nostro presidente del consiglio ha fatto una delle sue
ultime apparizioni show: con piglio puntiglioso da pedagogo, si è messo,
gessetto alla mano, a spiegare davanti a una lavagna, perché la sua
scuola è buona.
Adesso, a parte lo svarione in lingua italiana di “cultura umanista” invece che “cultura umanistica”,
come è corretto dire (cosa questa che ha inflazionato il web), nel
vederlo tutto intento a proporre le sue ragioni, mi è venuta in mente
una frase che dicevano gli antichi romani: “Sutor ne ultra crepidam!” (Il ciabattino faccia le scarpe e non altro!).
Sì,
perché, in effetti, ci sarebbe da ridere per le cose che ha detto, se
il tutto non coinvolgesse una bella fetta di società formata da docenti,
famiglie e studenti, che poi sarebbero la “civitas” di domani cui la
scuola dovrebbe dare quella formazione che ti rimane per l’intera vita.
In
questa riforma, così come per le altre sin qui messe in campo, non c’è
niente che si possa salvare, dal piano assunzioni al preside-padrone,
dall'autonomia al legame scuola azienda, insomma, Renzi e il suo governo
sono riusciti anche stavolta a fare una melassa, ispirata come le
precedenti, a quanto di peggio possa essere funzionale alla classe
padronale, svilendo ulteriormente la figura del docente.
La
partita, seppur alle sue ultime battute, non è ancora chiusa e malgrado
tutte le lotte messe in campo da docenti, personale della scuola a
vario titolo, genitori e studenti, le cose non sono cambiate, se non
qualche ritocchino di facciata e, a effetto di quella che è in realtà
una chiusura totale del governo, i docenti non hanno alcuna intenzione
di mollare.
Nella
vita della scuola questo è un periodo particolare che ferve di una
somma di attività tutte tese a chiudere l’anno scolastico, intervallo
delicato tra qui e gli esami di Stato, fatto di riunioni,
rendicontazioni, riflessioni sul lavoro svolto e soprattutto di
scrutini, nei riguardi dei quali, finalmente, tra le varie cose sin qui
fatte in opposizione alla buona scuola, è arrivata la proposta di bloccarli.
I
docenti che scioperano non producono un danno economico a nessuno ma
questa del blocco degli scrutini, pur rientrando nel diritto di sciopero
è, tra le proteste possibili, quella che l’establishment ha sempre
guardato con occhio cattivo.
Puntuale, a questa proposta è arrivata la risposta da parte di Roberto Alesse, il Garante sugli scioperi: “Lo strumento della precettazione, in caso di blocco degli scrutini, sarebbe la via obbligata e doverosa.”.
Adesso,
a parte che non è lui a dover decidere sulla precettazione, o perlomeno
non lui da solo, ci si augura che la sua uscita sia stato il frutto di
un momento di zelo, esternata per compiacere chi lo ha confermato nel
suo ruolo di garante, anche perché va detto che questa, che è una vera e
propria minaccia, prima ancora di essere un’offesa verso i docenti come
lavoratori, è un insulto alla scuola pubblica.
Considerando
il fatto che nella storia della Repubblica Italiana, nessun governo è
mai ricorso alla precettazione dei professori, neppure quando, agli
inizi degli anni ’90, i Cobas, per protestare contro il mancato rinnovo
del contratto, bloccarono gli scrutini del primo quadrimestre, una
dialettica corretta dovrebbe prevedere che, a fronte delle proposte di
un governo che riguardano il proprio lavoro e il proprio assetto, i
docenti, se dissentono, possano scioperare senza essere trattati come
tanti che contrabbandano i propri privilegi per diritti sindacali.
Anche perché, è il caso di ricordare a tutti, che, della buona scuola,
gli insegnanti contestano il fatto che il dirigente scolastico sia
elevato al rango di podestà, con il potere di assumere docenti con il
forte rischio di clientelismo, o che si comporti come un gestore
d’impresa, premiando il merito o punendo il demerito, distribuendo
denaro, secondo suoi criteri.
Non
è necessario essere esperti di gestione del personale per capire cosa,
una meccanica del genere, scatenerebbe in una scuola: docenti votati a
compiacere il preside in tutti i suoi desiderata per guadagnarsi i
galloni della certificazione di eccellenza e docenti confinati in un
limbo di mediocrità e questo, ovviamente, produrrebbe una
classificazione pubblica di qualità tra gli insegnanti di una stessa
scuola, con la conseguente individuazione di classi eccellenti figlie di
quei docenti eccellenti e classi dalle quali ognuno tenterebbe di
fuggire per non essere fagocitato in una sorta di corte dei miracoli che gioco forza si verrebbe a creare in contrapposizione.
C’è
poi da capire e sin qui nessuno ne ha parlato, ma prima o poi accadrà,
che fine faranno gli insegnanti cattivi, quelli che non sono riusciti a
conquistare il certificato di eccellenza, magari per incompatibilità
caratteriale con il proprio preside o che più semplicemente intendono
solo fare correttamente il proprio lavoro senza comportamenti
compiacenti verso la dirigenza e si schierano a spada tratta a favore
delle sollecitazioni e delle ragioni degli studenti, posizione questa,
quasi mai apprezzata e anzi quasi sempre invisa, dalle varie dirigenze
scolastiche.
Cosa
accadrà? Probabilmente nulla, perché, considerato che nella giornata di
domani è previsto che la Camera chiuda l’argomento, Renzi andrà dritto
per la strada già tracciata, come ha già fatto in precedenti occasioni
per differenti provvedimenti, nel disprezzo totale di qualsiasi
legittima istanza; in queste ultimissime ore, forse, farà finta di
concedere qualcosa che amplificherà nella maniera più indecente,
preoccupato, ancora una volta, più che di fare una buona legge, di
conclamare il concetto che lui è l’uomo del fare.
Per
onestà intellettuale, però, bisogna riconoscere a Renzi un grande
merito: nel confezionare questa sorta di minestrone rancido, il nostro
presidente del consiglio e il suo governo, sono riusciti a compattare
tutta la scuola e a rendere univoca la protesta di una categoria che sin
qui , purtroppo, si è sempre mossa in ordine sparso.
Ciò
che qui ci preme sottolineare però, è soprattutto l’evidenza di quanto
la scuola, resti un baraccone da trascinare se per questa si decide di
dedicarvi tempo, cura, finanziamenti. Ma pericolosa se vi si vuol
destinare a questa l’attenzione che merita nella possibilità di una
classe lavoratrice che nell’insegnamento cerca espressione e contenuto,
boicottandola in ogni sua possibilità di crescita e formazione e
possibilità di inserimento di nuovi professori e altre professionalità
correlate agli istituti scolastici, tagliando fondi, accorpando classi,
concertando in modo elitario e selettivo le capacità e la preparazione
della platea scolastica, destinataria di una giurisprudenza ingiusta e
liberista, in un contesto dove la dinamica aziendale vi dovrebbe, per
anticorpi, essere esclusa e invisa.
E
infine e manganellando a Bologna, un proletariato, impiegato di quello
stesso stato che ne decreta l’avvizzimento e la barbarie. Giungendo ad
oggi, nella minaccia e nella possibilità e nel diritto di fare sciopero,
sbandierando l’azione repressiva e ingigantendola, così da impedirne e
intimorire fortemente, in una svolta autoritaria, decine di migliaia di
lavoratori e lavoratrici.
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