19.5.15

ALESSE E LA PRECETTAZIONE. QUANDO LO STATO SI FA AUTORITARIO ANCHE NEL FUNZIONARIO



Qualche giorno fa il nostro presidente del consiglio ha fatto una delle sue ultime apparizioni show: con piglio puntiglioso da pedagogo, si è messo, gessetto alla mano, a spiegare davanti a una lavagna, perché la sua scuola è buona.
Adesso, a parte lo svarione in lingua italiana di “cultura umanista” invece che “cultura umanistica”, come è corretto dire (cosa questa che ha inflazionato il web), nel vederlo tutto intento a proporre le sue ragioni, mi è venuta in mente una frase che dicevano gli antichi romani: “Sutor ne ultra crepidam!” (Il ciabattino faccia le scarpe e non altro!).

Sì, perché, in effetti, ci sarebbe da ridere per le cose che ha detto, se il tutto non coinvolgesse una bella fetta di società formata da docenti, famiglie e studenti, che poi sarebbero la “civitas” di domani cui la scuola dovrebbe dare quella formazione che ti rimane per l’intera vita.
In questa riforma, così come per le altre sin qui messe in campo, non c’è niente che si possa salvare, dal piano assunzioni al preside-padrone, dall'autonomia al legame scuola azienda, insomma, Renzi e il suo governo sono riusciti anche stavolta a fare una melassa, ispirata come le precedenti, a quanto di peggio possa essere funzionale alla classe padronale, svilendo ulteriormente la figura del docente.

La partita, seppur alle sue ultime battute, non è ancora chiusa e malgrado tutte le lotte messe in campo da docenti, personale della scuola a vario titolo, genitori e studenti, le cose non sono cambiate, se non qualche ritocchino di facciata e, a effetto di quella che è in realtà una chiusura totale del governo, i docenti non hanno alcuna intenzione di mollare.

Nella vita della scuola questo è un periodo particolare che ferve di una somma di attività tutte tese a chiudere l’anno scolastico, intervallo delicato tra qui e gli esami di Stato, fatto di riunioni, rendicontazioni, riflessioni sul lavoro svolto e soprattutto di scrutini, nei riguardi dei quali, finalmente, tra le varie cose sin qui fatte in opposizione alla buona scuola, è arrivata la proposta di bloccarli.
I docenti che scioperano non producono un danno economico a nessuno ma questa del blocco degli scrutini, pur rientrando nel diritto di sciopero è, tra le proteste possibili, quella che l’establishment ha sempre guardato con occhio cattivo.
Puntuale, a questa proposta è arrivata la risposta da parte di Roberto Alesse, il Garante sugli scioperi: “Lo strumento della precettazione, in caso di blocco degli scrutini, sarebbe la via obbligata e doverosa.”.

Adesso, a parte che non è lui a dover decidere sulla precettazione, o perlomeno non lui da solo, ci si augura che la sua uscita sia stato il frutto di un momento di zelo, esternata per compiacere chi lo ha confermato nel suo ruolo di garante, anche perché va detto che questa, che è una vera e propria minaccia, prima ancora di essere un’offesa verso i docenti come lavoratori, è un insulto alla scuola pubblica.
Considerando il fatto che nella storia della Repubblica Italiana, nessun governo è mai ricorso alla precettazione dei professori, neppure quando, agli inizi degli anni ’90, i Cobas, per protestare contro il mancato rinnovo del contratto, bloccarono gli scrutini del primo quadrimestre, una dialettica corretta dovrebbe prevedere che, a fronte delle proposte di un governo che riguardano il proprio lavoro e il proprio assetto, i docenti, se dissentono, possano scioperare senza essere trattati come tanti che contrabbandano i propri privilegi per diritti sindacali.

Anche perché, è il caso di ricordare a tutti, che, della buona scuola, gli insegnanti contestano il fatto che il dirigente scolastico sia elevato al rango di podestà, con il potere di assumere docenti con il forte rischio di clientelismo, o che si comporti come un gestore d’impresa, premiando il merito o punendo il demerito, distribuendo denaro, secondo suoi criteri.
Non è necessario essere esperti di gestione del personale per capire cosa, una meccanica del genere, scatenerebbe in una scuola: docenti votati a compiacere il preside in tutti i suoi desiderata per guadagnarsi i galloni della certificazione di eccellenza e docenti confinati in un limbo di mediocrità e questo, ovviamente, produrrebbe una classificazione pubblica di qualità tra gli insegnanti di una stessa scuola, con la conseguente individuazione di classi eccellenti figlie di quei docenti eccellenti e classi dalle quali ognuno tenterebbe di fuggire per non essere fagocitato in una sorta di corte dei miracoli che gioco forza si verrebbe a creare in contrapposizione.

C’è poi da capire e sin qui nessuno ne ha parlato, ma prima o poi accadrà, che fine faranno gli insegnanti cattivi, quelli che non sono riusciti a conquistare il certificato di eccellenza, magari per incompatibilità caratteriale con il proprio preside o che più semplicemente intendono solo fare correttamente il proprio lavoro senza comportamenti compiacenti verso la dirigenza e si schierano a spada tratta a favore delle sollecitazioni e delle ragioni degli studenti, posizione questa, quasi mai apprezzata e anzi quasi sempre invisa, dalle varie dirigenze scolastiche.
Cosa accadrà? Probabilmente nulla, perché, considerato che nella giornata di domani è previsto che la Camera chiuda l’argomento, Renzi andrà dritto per la strada già tracciata, come ha già fatto in precedenti occasioni per differenti provvedimenti, nel disprezzo totale di qualsiasi legittima istanza; in queste ultimissime ore, forse, farà finta di concedere qualcosa che amplificherà nella maniera più indecente, preoccupato, ancora una volta, più che di fare una buona legge, di conclamare il concetto che lui è l’uomo del fare.

Per onestà intellettuale, però, bisogna riconoscere a Renzi un grande merito: nel confezionare questa sorta di minestrone rancido, il nostro presidente del consiglio e il suo governo, sono riusciti a compattare tutta la scuola e a rendere univoca la protesta di una categoria che sin qui , purtroppo, si è sempre mossa in ordine sparso.
Ciò che qui ci preme sottolineare però, è soprattutto l’evidenza di quanto la scuola, resti un baraccone da trascinare se per questa si decide di dedicarvi tempo, cura, finanziamenti. Ma pericolosa se vi si vuol destinare a questa l’attenzione che merita nella possibilità di una classe lavoratrice che nell’insegnamento cerca espressione e contenuto, boicottandola in ogni sua possibilità di crescita e formazione e possibilità di inserimento di nuovi professori e altre professionalità correlate agli istituti scolastici, tagliando fondi, accorpando classi, concertando in modo elitario e selettivo le capacità e la preparazione della platea scolastica, destinataria di una giurisprudenza ingiusta e liberista, in un contesto dove la dinamica aziendale vi dovrebbe, per anticorpi, essere esclusa e invisa.

E infine e manganellando a Bologna,  un proletariato, impiegato di quello stesso stato che ne decreta l’avvizzimento e la barbarie. Giungendo ad oggi, nella minaccia e nella possibilità e nel diritto di fare sciopero, sbandierando l’azione repressiva e ingigantendola, così da impedirne e intimorire fortemente, in una svolta autoritaria, decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici.

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