17.5.15

IN MARCHIONNE, LO SFRUTTAMENTO FIAT, TROVA IL SUO ALFIERE.




Nola, polo logistico della Fiat, giugno 2014; i lavoratori dell’azienda intendono manifestare per la loro condizione di sfruttamento, per i ritmi ininterrotti e la condizione di precarietà e disperazione di quanti sono lasciati continuamente in cassa integrazione, ma soprattutto intendono manifestare per esprimere solidarietà ad una loro collega che si è uccisa perché non ha retto le condizioni della fabbrica.
La protesta nasce spontaneamente e per renderla più incisiva gli operai pensano di stendere sul selciato dei fantocci che nella loro intenzione rappresentano dei cadaveri e in più espongono, appeso per il collo come un impiccato, un altro fantoccio raffigurante Sergio Marchionne.
L’azienda raccoglie la cosa e la risposta è di quelle tranchant: cinque operai vengono licenziati.

A questo punto è proprio il caso di dire che cinque licenziamenti, per una manifestazione pacifica, per quanto pittoresca, sono un passaggio che va molto oltre sopra le righe e facendo sull’episodio un ragionamento immediato, la decisione della Fiat potrebbe sembrare la reazione all’aver raccolto una provocazione.
Con una riflessione a freddo, invece, l’ipotesi che ne può venir fuori è ben più ampia: quei licenziamenti esprimono una lucida volontà e sono la chiara indicazione della determinazione di compiere un atto repressivo con cui i vertici Fiat hanno voluto ribadire il concetto di chi comanda, di chi è il padrone, di cosa può consentirsi di fare e di come gli operai devono comportarsi. E che soprattutto, rimanga ben chiaro e impressa nella memoria come monito, che la borghesia non può e non vuole di conseguenza essere messa in discussione come classe nella sua capacità a dare risposte forti quando le si impone il contenimento del dissenso.

Del resto per avvalorare tale concetto: è sufficiente mettere insieme un po’ di cose: innanzitutto la riorganizzazione Fiat, targata Marchionne, che è decollata proprio dallo stabilimento di Pomigliano, partì con l’idea di tenere fuori dall’impianto tutti quegli operai che potenzialmente avrebbero potuto promuovere azioni di protesta in maniera da frenare o comunque essere d’intralcio al piano del suo amministratore delegato; il secondo passaggio fu l’apertura del reparto logistico di Nola, una sorta di confino, dove mandare in esilio tutti cattivi soggetti e, infine, il fatto che tutto quanto è avvenuto sotto l’ala protettrice dello Stato che ha espresso la sua benedizione attraverso le manganellate dei poliziotti in danno degli operai che picchettavano la fabbrica e bloccavano la produzione.

È sotto gli occhi di tutti che il risultato, per la Fiat è stato quello di rilanciare il proprio prodotto, di occupare spazi nel mercato dell’auto, quindi di aumentare i profitti per padroni e soci, ma è meno diffusa la consapevolezza che tutto questo sia accaduto intensificando lo sfruttamento degli operai.
Negli anni è stato un continuo, la Fiat ha licenziato un po’ di gente che si è resa protagonista di contrasti contro lo sfruttamento da parte dell’azienda e purtroppo bisogna dire che tra i licenziati alcuni hanno mollato e che sono rimasti in pochi a continuare la lotta fuori dalla fabbrica.
L’unico elemento positivo di questa storia di ordinario sfruttamento è il fatto che, oramai da po’ di anni, gli operai ex Fiat si siano organizzati nel Comitato di Lotta cassintegrati e licenziati Fiat Pomigliano, comitato che riesce a tenere uniti lavoratori al di là delle proprie appartenenze sindacali e il quale, soprattutto, ha il merito di essere l’unico soggetto che ha cercato di promuovere azioni di contrasto.

Senza starci a girare troppo intorno, va detto in maniera asciutta che Marchionne e per suo tramite la Fiat, mira a rendere più serrati i livelli di sfruttamento perché il disegno immediato è quello di utilizzare gli operai a seconda dell’andamento del mercato: metterli sotto pressione quando questo è funzionale alla massimizzazione del profitto, per poi tenerli fuori dal ciclo produttivo quando non servono al potenziamento del capitale.
E se qualcuno avesse a riguardo un sia pur minimo di dubbio è sufficiente pensare a quali sono state le regole stabilite nelle recenti assunzioni fatte a Melfi: lo straordinario obbligatorio nei giorni di sabato (cosa già varata per Pomigliano) e il passaggio dello stabilimento al ciclo continuo, cosa questa che viene assicurata con venti turni settimanali.

Al tutto si aggiunge quanto Sergio Marchionne è riuscito a inventarsi sul nuovo sistema di incentivazione, invenzione che è stata benedetta sia da molti esponenti politici della sinistra e sia da esponenti sindacali: il lavoro dell’operaio verrà pagato con una cifra composta da un salario di base al quale verrà aggiunta una quota salario vincolata all’efficienza dello stabilimento in cui lavora, più un’altra quota legata ai risultati d'insieme ottenuti dal gruppo industriale nelle sue varie collocazioni tra Europa e Medio Oriente.
Questa cosa non fa una piega, ovviamente per la Fiat, perché, da qualsiasi parte la si voglia esaminare, il meccanismo è di quelli che è in grado di garantire sempre e comunque il guadagno al padrone e le perdite, se ci sono, all’operaio, questo senza volersi mettere a disquisire sull’impianto di un lavoro così congegnato che assume tutte le caratteristiche di un lavoro a cottimo: tanto mi fai, tanto ti pago.
Il 21 di maggio ci sarà, al tribunale di Nola, la prima udienza relativa al licenziamento dei cinque operai che hanno manifestato nel giugno del 2014 e che sono stati licenziati dalla Fiat.

Al di là delle riflessioni che quanto sin qui scritto, possa aver suscitato, questo vuole essere un invito a manifestare il proprio sostegno e a far sentire la propria solidarietà e agli operai coinvolti nella causa, nel giorno in cui un giudice inizierà l’iter che dovrà decidere del loro futuro, per cui l’appuntamento è per la mattina del giorno 21 maggio fuori al tribunale di Nola.

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