14.5.15

IL GENDARME DELLA BANCHE: IL CONSERVATIVE AND UNIONIST PARTY, VINCE LE ELEZIONI IN GRAN BRETAGNA


Mai come in questo momento, parlando dell’Inghilterra, la locuzione di perfida Albione torna più attuale che mai: Albione è l'antico nome della Gran Bretagna e l’attributo di perfida fu coniato in Francia, nel secolo XVII, per riferirsi in modo particolare, alla spregiudicatezza politica dell’Inghilterra. In questo momento, in Gran Bretagna, per i big della City, (il quartiere che occupa la porzione storicamente più antica dell'agglomerato urbano, centro economico e finanziario, considerato uno dei più importanti del mondo fin dal secolo XIX), c’è aria di festa per il fatto che il partito dei ricchi continua a essere in gioco e stavolta con una maggioranza, anche se non particolarmente esaltante, che nessuno si aspettava: quale migliore garanzia di un governo conservatore per proseguire e consolidare quelle politiche tanto care al capitale che ti consentono di tenere al sicuro il tuo bottino.

Mettendo per un attimo da parte i ricchi, i capitani d’impresa, i padroni, i professionisti delle alchimie finanziarie e tutto il bestiario che ruota intorno al binomio capitale/potere, c’è da considerare una cosa che alla lunga potrebbe rovinare la festa a tutta questa bella gente; milioni di lavoratori inglesi hanno oramai impattato contro il fatto che Cameron e la sua cricca siano riusciti a essere di nuovo al potere e sanno esattamente che tutto questo significherà una ulteriore erosione dei propri diritti dal momento che si continuerà a chiedere alla classe lavoratrice di pagare la crisi del capitalismo, è sufficiente pensare che i Tories hanno annunciato tagli allo stato sociale per dodici miliardi di sterline e che tutto questo, come da copione, graverà sugli strati più vulnerabili della società: malati, anziani e quelli in qualche modo deboli. 

In effetti, il clima politico sociale, in Gran Bretagna, vive una situazione piuttosto instabile ma il problema rimane, comunque, che il malcontento popolare, oramai in continua crescita, non sia ancora riuscito a trovare il modo di esprimersi in maniera univoca e unitaria, come invece, seppur con mire differenti, pare stia accadendo in Scozia.

Se ci mette a fare un po’ di conti, ci si accorge che la maggioranza di Cameron è formata dal 35% di quanti hanno votato, percentuale che, rapportata all’intero elettorato, scende al 24%, insomma, a voler essere buoni, c’è da dire che la cosa da qualche parte presenta un difettuccio.In tutto questo c’è anche da considerare che quanto Cameron ha promesso sulla nuova prosperità, prima o poi si rivelerà per quello che è: pura menzogna, perché il tentativo di raggiungere il pareggio di bilancio in un’economia che comunque rallenta, non farà altro che aumentare disagi, miseria e privazioni della classe dei lavoratori e questo, ci si augura, possa essere l’avvio di una opposizione di massa al governo Tory. Questa elezione ha, di fatto, scombussolato il panorama politico cui si era abituati in Inghilterra; i partiti che da anni hanno realmente contato nella storia inglese sono stati tre: il partito Conservatore, il partito Laburista e il partito Liberale (ora ribattezzato Liberal-Democratico) e gli ultimi due sono praticamente stati fatti a pezzi, i Liberali hanno perso in un sol colpo quarantanove parlamentari, riducendo a otto membri la loro rappresentanza e analogo terremoto lo ha vissuto il partito Laburista che ha perso ben ventitré seggi. 

È ovvio, che con questi risultati, immediatamente dopo le elezioni Nick Clegg e Edward Samuel Miliband, leader dei Liberal-Democratici il primo e dei Laburisti il secondo, hanno rassegnato le dimissioni lasciando aperte ferite profonde nei rispettivi partiti e un nugolo di giovani carrieristi rampanti, che ispirati dallo spirito di una sorta di rinnovato Blairismo scalpitano per conquistare la leadership. Lascia piuttosto perplessi il fatto che dopo cinque anni di austerità i laburisti non abbiano avuto buon gioco a spazzare via i conservatori; i politologi ne danno la colpa alla dirigenza Labour, perché incapace di opporsi credibilmente ai Tories e soprattutto per non aver presentato un programma che offrisse una netta alternativa all'austerità di Cameron. 

Chi, invece può, in tutta questa situazione, gongolare e dire di esser il vero vincitore delle elezioni, è il Partito Nazionale Scozzese che ha eroso da sinistra, con ottimo successo, il consenso del Labour, perché è passato, in un sol colpo, da sei parlamentari a cinquantasei, frutto del 50% dei voti espressi in Scozia, lasciando i tre partiti storici di Westminster con un parlamentare a testa e i più segnati da questa sconfitta sono proprio i Laburisti che, nell’elettorato scozzese, hanno sempre avuto una solida base.L’SNP ha sapientemente impostato il proprio programma elettorale, partendo da tre punti cardine: innanzitutto preconizzando una politica contro l’austerità voluta dall’U.E., poi facendosi paladino dello smantellamento delle basi USA in Scozia dei missili Trident e infine offrendosi di sostenere un governo laburista, ove mai questo fosse stato intenzionato a opporsi alle misure d’austerità sin qui chieste dall’Europa, offerta, questa, stupidamente rifiutata da Miliband.

Una nota lieta, in questo panorama è quella che, di fatto, è stata la scomparsa dell’UKIP, il partito di Nigel Farage, nato da una costola della destra conservatrice: ha salvato un solo parlamentare e lo stesso Farage non è riuscito a farsi eleggere; a effetto di questo disastro Farage ha dato immediatamente le dimissioni che poi pare abbia ritirato ma, considerando il personaggio, la cosa non meraviglia più di tanto.

Nel frattempo, mentre i Tories andranno avanti con le loro politiche, accadrà che i capitalisti aumenteranno la loro ricchezza e di contro, il proletariato, la povertà e questa spaccatura è un aspetto che Cameron farà bene a non sottovalutare, in particolare quando dovrà tenere fede alla sua promessa sul referendum con il quale si deciderà se l’Inghilterra debba o non, lasciare l’Unione Europea. Questo passaggio aprirà profonde divisioni nel suo partito, anche perché una fetta piuttosto consistente dei capitalisti inglesi, di quelli che contano veramente, non vuole che la Gran Bretagna lasci l'Unione Europea e l’ipotesi che il referendum possa passare, non è poi così peregrina e a questo, Cameron deve aggiungere la mai sopita spinta indipendentista della Scozia per cui, con un governo conservatore, che prosegue nella sua politica di tagli, gli scozzesi si arroccheranno sempre di più sulla propria idea di un distacco dall’Inghilterra e ove mai ci dovesse essere di nuovo un referendum sull’indipendenza è possibile che stavolta passi, il che, di fatto, significherebbe lo smembramento del Regno Unito.

Nel momento in cui i Tories accentueranno le politiche di austerità, potrebbero trovarsi a dover far fronte a una opposizione di massa, magari presente nelle piazze e questo sarebbe il momento di intervenire per rendere la protesta unica e unificata e quanti si oppongono all’attuale dirigenza inglese, dovranno arrivare preparati e con idee chiare per poter gestire l’eventualità: la risposta a Cameron e ai suoi ricchi manutengoli deve necessariamente passare per la costruzione di un'alternativa anticapitalista a questa società, di un partito rivoluzionario basato sulla politica marxista. E' una cosa che non può attendere oltre.  

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