2.6.15

AMMINISTRATIVE 2015 - LIBECCIA UN CUPO E FREDDO VENTO DI DESTRA SUL SOCIALIBERISMO RENZIANO



La tornata elettorale appena conclusasi si è rivelata una batosta per il premier bonapartista Renzi: il giovane capitalista di relazione, il rottamatore, il ripetitore automatico di decreti e riforme, ha subito un deciso fermo che lo pone, probabilmente, in attesa di più miti consigli e di una riflessione in seno al PD. La base elettorale che alle elezioni europee aveva dato ai Dem il 41% delle preferenze si è rivelata una nuvola soggetta a sfaldarsi al primo leggero soffio di vento e non certo uno zoccolo duro sul quale fondare il “Partito della Nazione”. Già, il problema è che a sfaldare l’elettorato piddino non è stato un soave zefiro, ma un libeccio cupo e freddo: un vento di destra!

 Le regioni investite dalla tornata elettorale, sono sette e i risultati contengono in sé delle discordanze. In ordine abbiamo: il Pd che si attesta sul 23,7%; seguito dal M5s al 18% e infine dalla Lega al 12,5% . In calo Forza Italia con un 10,7%, mentre Fratelli d'Italia ottiene un 4,2% e Area popolare un 3,5%. E’ evidente che Renzi non ha saputo capitalizzare la caduta populista di FI ed è altrettanto evidente che il consenso elettorale della destra nel suo insieme non solo tiene, ma si espande. Velleitario e fallace, dunque, sbandierare una quanto mai fantomatica vittoria poiché il feudo Pd resta in tre regioni:  Puglia, Marche, Toscana, conquistata sul filo del rasoio, mentre in Campania scalza il centrodestra che ha la propria conferma invece in  Liguria e Veneto, ma è incontestabile una evidenta perdita di consensi. La situazione sembrava essere in bilico in Umbria e che fosse in vantaggio il candidato del centrodestra, uno smacco non da poco, considerando che questa regione è  tra le più "rosse" d’Italia. A scrutinio concluso il centrosinistra si è rivelato vincente. E’ lecito, però, chiedersi se vi sia ancora rimasto qualcosa di “rosso” nel Partito Democratico.

Altissimo il partito dell’astensione e che si è manifestato in modo più evidente rispetto a tutte le altre elezioni regionali: la percentuale dei votanti è infatti del 52% degli elettori, statisticamente, si attestano nel numero di uno su due.

E si fa cupa la visione d’insieme, se si tengono in esame i risultati a livello regionale. In Veneto Zaia ad esempio surclassa Moretti e tutto questo, non dimostra altro, quanto certi proclami e sovraesposizioni di veci renziane, al netto, si risolvono utili solo al teatrino massmediologico.
In Campania, la situazione è chiara, ma per quel filo di rasoio, che spesso non rende nette le vittorie: De Luca (PD) vince per una manciata di voti in più è inseguito a rapido passo da Valeria Ciarambino (M5s). Il rischio è l’ingovernabilità della Regione se non si pone rimedio alla legge Severino (anche questa alchimia propagandista?).
Oltre il PD si trova la fantomatica terra di una caotica “sinistra”, terra di mediocritas, dei nani della politica nazionale e internazionale. In Campania (un esempio su tutti) la lista Sinistra per il Lavoro, con candidato Salvatore Vozza non riesce a strappare più di un 2,2%, correa, in questo naufragio nel burrascoso mare del riformismo, è la lista organizzata da Sel e dalla maggioranza del Prc che hanno di fatto indebolito l’appello Maggio (convergente al “percorso Tsipras”), lista che si proponeva come rappresentativa del movimentismo e associazionismo sociale. Certo l’esperimento è in corso, (ne) vedremo (delle belle)…….

Sia in Toscana che in Puglia, il Pd ha superato gli avversari, ma le risposte che si attendevano davvero e con trepidazione erano in Liguria, di fatto cartina di tornasole delle regionali.

E qui, la candidata Paita (PD), nella soap un po’ patetica dei brogli e che per pochissimo riesce nelle primarie strappandole ad un Cofferati che ne smaschera la mancata correttezza, viene subissata dal trionfale Giovanni Toti, espressione dell’ormai politicamente imbolsito Berlusconi  e che con buona probabilità contende con la destra moderata l’ufficio di garanzia del potere borghese a Salvini e la destra estremista e xenofoba che si avvale della manovalanza di Casapound che, guarda caso, compie il progetto leghista: quello di avere una organizzazione di attivisti di tipo para-militare.
La Paita, bisogna inoltre generosamente tenere presente che dove altri hanno fatto male, lei è riuscita ancor peggio: raccoglie infatti uno stracciatissimo 28% , mentre in Liguria, il partito nazione, raggiungeva tranquillamente, superandolo, il 40% .
Porta a casa un risultato più che lusinghiero Alice Salvatore, con il Movimento 5 Stelle e che tocca il 25 per cento, mentre poco e nulla  va al fuoriuscito del Pd Pastorino, che ottiene uno scarso 10%

In Toscana, si riconferma invece il governatore uscente Enrico Rossi, piddiino di ferro pur se non di ala renziana, che non solo resta saldamente al comando della sua poltrona, ma supera addirittura il  48%. [e una nota a parte, andrebbe scritta sul diverso sistema che caratterizza le votazioni,  ossia con un sistema maggioritario, che contempla il doppio turno per il vincitore che non raggiunge il 40%. E che vede 40 Consiglieri eletti con un sistema proporzionale misto. Soglia di sbarramento al 5%, che scende al 3% qualora la coalizione che suffraga arrivi al 10%. E che tiene presente del voto disgiunto, esprimendo fino a due preferenze e di genere diverso (un uomo e una donna)].

Dolorosa di ferita è l’apoteosi del leghista Claudio Borghi, che ha raggiunte punte del 20% , si temeva comunque ne avesse l’escalation, grazie alla crescita vertiginosa della Lega, in coalizione con FdI e i fascisti della Meloni.  Il Si Toscana, lista di sinistra capeggiata da Tommaso Fattori, ha ottenuto poco meno del previsto, dato che si prevedeva un 10% e si è attestata al 6,2%.

Considerazioni: era da qualche tempo che la Toscana, aveva abdicato alle tonalità di rosso ma questa volta vi ha preferito definitivamente altre sfumature. Vi è un rosso/bianco-crociato e un verde/nero che poco si amalgamano. Vi è un male lancinante in Toscana, che si fa carcinoma, passando dal Pd, in metastasi che è la Lega Nord.

La brutta novità di rilievo a queste Regionali è proprio il frutto marcescente della Lega. Salvini, nella sua funzione di mietitore di rabbia, dal ghigno truce, madonna peregrina di umori anti rom e anti clandestini, è stato capace di raccogliere innumerevoli consensi e voti.
Il carroccio ha fatto il pienone e con Claudio Borghi Aquilini, si è attestato ad un incredibile 21,9%. Cosa che sa di prodigioso, se si tiene in conto il 4,6% del 2010 e allo 0,67% delle Politiche 2013.

Fa tremare i polsi, il commento a caldo di Borghi: «Il nostro è un risultato straordinario, siamo il primo partito d’opposizione. Questi dati, se confermati, dimostrano una netta inversione di tendenza e un grande cambiamento. Porteremo l’opera di denuncia del malgoverno di Rossi, perché continuerà, a livello nazionale» e prosegue «Un cambiamento del genere premia il nostro lavoro» e non pago, l’economista, trova il modo anche di lanciare una stoccata alla legge elettorale della Toscana: «Ci hanno scippato il ballottaggio».

E come se non se ne abbia avuto sentore, ricorda anche la forza del suo exploit e da chi provenga, in omaggio: «La vittoria in questa regione  è anche merito del nostro leader Salvini e dell’impegno che ha messo in campagna elettorale».
C’è dunque, chi ha creduto, nonostante l’astensione vanifica una reale predisposizione dell’elettorato, che La Lega dovesse rendersi forza partito, sempre più forte, insediandosi sul territorio, tanto da realizzarsi seconda forza in Toscana e  a scrutinio in corso, contava già il 18%, appoggiata da Fratelli D’Italia con il 4,4%.  In questo caso, come auspicava Silvio Berlusconi, il centrodestra, necessitava si  alleasse per vincere.
 E una cappa asfissiante avvilente di estate che inizia e che ci ricorda che non solo nulla si muove nella giusta direzione, bensì che è pronta una nuova stagione di repressione, tagli, sgomberi, scellerate e demagogiche politiche razziste e che a nulla sono valse fino ad oggi, le inchieste, gli ammanchi, gli ingiustificati  ammanchi nei bilanci delle Asl, le privatizzazioni.

Il governatore Pd uscente Enrico Rossi si ritrova dunque con il 48% . Ed è davvero lontano il 2010, quando l’ex sindaco di Pontedera, raggiunse quasi il 60% dei consensi, presentando con il Pd anche: Idv, Sel, Riformisti, Verdi e Federazione della Sinistra.
 La battuta d’arresto ora in casa PD in Toscana è dunque consistente, cosa che non lo preoccupa, anzi sembra rafforzarlo tanto da fargli dichiarare «Forse possiamo anche pensare che io possa essere il presidente più votato a livello nazionale»

E probabilmente nell’aria, a Livorno, qualcosa già si presagì, quando alle comunali arrivò la vittoria e lo scacco al re da parte del Movimento 5 Stelle e che dalle urne del 31 maggio ottiene una riconferma della propria forza in città facendo volare Cantoni, candidato cittadino, in consiglio regionale con una pattuglia di 5 consiglieri e attestandosi così terzo partito in regione, dato storico questo: per la prima volta il M5s entra nelle stanze del potere regionale. Tutto questo corroborato e a oggi  confermato dal dato di un’affluenza che non ha superato il 47%.
 I pentastellati, non stanno a guardare e ad onor del vero bisogna dare merito che le espressioni politiche reazionarie hanno avuto tutte la propria conferma e soddisfazione.
Giacomo Giannarelli, candidato del Movimento 5 Stelle, ha raccolto un più che ottimo  14,9%.

Nel Granducato di Matteo Renzi, tutto cambia, per esprimersi in peggio e certo non per una Forza Italia che si rivela oramai storicamente, politicamente e, di fatto, ben oltre il tramonto (disastro assoluto  per il candidato di Forza Italia Stefano Mugnai che vede il miraggio del ballottaggio solo in sogno (9,9%).
Addirittura Massimo Parisi, coordinatore regionale, si dimette prima che gli exit poll, diano risposta e fortemente in ritardo (e di ciò, ne conosceremo le ragioni che dubito davvero interessanti, il due giugno, in una conferenza stampa). Avrebbe potuto pensarci due anni prima.
Non pervenuto battito a Gianni Lamioni (Ncd e Udc 1,3%), un po’ meglio, Tommaso Fattori al 6% (Si Toscana, sinistra anti-Pd) e disastroso per Gabriele Chiurli (Democrazia Diretta 0.19%).

In questo quadro, il risultato del PCL: ci siamo presentati in un numero limitato di Regioni, a causa delle astruse e antidemocratiche normative elettorali che, proprio per queste elezioni, necessitano la raccolta di un numero improponibile di firme (nelle realtà con molte provincie, anche nell’ordine di decine di migliaia). Eravamo presenti quindi solo in Umbria e in Liguria. Tra i comuni principali, eravamo presenti a Venezia. Nei piccoli, a Cerreto d’Esi (Ancona, 4mila abitanti).

In Umbria eravamo in lista con Casa Rossa di Spoleto, associazione politica locale con cui si è a lungo collaborato in questi anni. Non c'eravamo mai presentati alla elezioni Regionali Umbre. Alle politiche il PCL si è collocato tra lo 0,7% (2013) e l’1% (2009): oggi abbiamo raccolto lo 0,5% (0,48%, 1820 voti assoluti; 0,47% alla lista 1662 ). Un calo rispetto alle politiche del 2013, quando si era ottenuto lo 0,73%, alle politiche del 2008 (0,79%) o alle Europee del 2009 (1%). Un leggero calo a fronte dell’1,6% di Umbria per un’altra Europa (alternativa al PD) e al 2,6% di SeL (in alleanza con il PD), che hanno conosciuto un vero e proprio crollo rispetto alle scorse elezioni regionali (la FdS aveva il 6,9% e Sel il 3,4%, entrambi in alleanza con il PD).

In Liguria c’era una dinamica più articolata. Al voto erano, infatti, presenti tre diversi candidati di sinistra: Luca Pastorino (che riuniva componenti in uscita del PD con il grosso della sinistra di Rifondazione, Sel e Tsipras), Matteo Piccardi (del PCL) e Antonio Bruno (AltraLiguria, che riuniva componenti di Tsipras e della sinistra ligure, in particolare impegnate nella difesa dell’ambiente e del territorio, critiche con i partiti e la candidatura Pastorino). Matteo Piccardi ha ottenuto lo 0,78%, (5136 voti) la lista del PCL lo 0,56% (3036 voti: ma in sole due provincie, Genova e Savona; la lista circoscrizionale era infatti assente ad Imperia e La Spezia, per mancanza delle firme, e verificando i voti, quelli mancanti alla lista sono sostanzialmente quelli di queste due provincie; quindi il dato di riferimento è quello del candidato e non quello della lista). Alle scorse politiche (2013) si era preso lo 0.65% (6046 voti), alle europee del 2013 (massimo storico, sinora, l’1,03%).

Il risultato importante della Liguria, che ha subissato quelli della lista tsipras, durante la campagna elettorale, è che si è registrata la vicinanza di decine di nuovi compagni, interessati e decisi ad entrare nel partito.

E non solo: vi è stata la forte riconoscibilità nella classe, molti lavoratori hanno realizzato nel Pcl, l'unica forza, unica, capace realmente di difendere i loro interessi. E ancora: ha permesso l'emergere di un dirigente rivoluzionario come matteo Piccardi capace di bucare lo schermo e di attirare consenso e di simpatia. Per quanto riguarda l'Umbria era una situazione ancora più difficile. Li vi erano tre piccoli nuclei di compagni a Perugia, Terni e Gubbio. La campagna elettorale ha fatto avvicinare nuovi compagni ed in più, con la costruzione del cartello elettorale con Casa Rossa di Spoleto, ci ha permesso di costruire un rapporto con queste forze nella visione un fronte unitario dei lavoratori.


Un buon risultato dunque, abbiamo cioè dimostrato, in una regione politicamente importante e in una competizione elettorale osservata da tutte le forze della sinistra, di esser in campo con un risultato dignitoso (vicino all’uno per cento) e di esserlo contro una lista di sinistra (AltraLiguria), che aveva ottenuto molta più attenzione e sostegno da parte della sinistra diffusa (il manifesto e non solo). Un buon risultato, inoltre, perché ci ha permesso di costruire una propaganda di massa e anche di sviluppare contatti con ampi strati di avanguardia, di tessere rapporti con diversi ambienti militanti. Non a caso nelle prossime settimane sono già programmati due incontri con due importanti realtà operaie, alla Piaggio e alla Fincantieri di Riva, con cui sono stati stretti rapporti proprio in campagna elettorale. Ma, al di là di queste relazioni dirette, è il profilo complessivo del partito, in Liguria e sul piano nazionale, che assume un profilo più credibile, in rapporto alle altre forze politiche ed ai settori di avanguardia. Per questo è stato importante partecipare a questa competizione elettorale.

A Venezia il PCL ha raccolto alle scorse elezioni comunali (2010) lo 0,34% (513 voti; 0,36% alla lista, 474 voti). Alle politiche si era conquistato qualcosa in più, tra lo 0,54% (2013) e lo 0,68% (europee del 2009). In queste elezioni, con tutta la sinistra schierata a sostegno della candidatura democratica di Felice Casson, abbiamo sostanzialmente confermato il risultato del 2010 (a quest’ora, con 154 sezioni scrutinate su 256, e quindi dei dati parziali, ma tendenzialmente stabili abbiamo lo 0,33% al candidato sindaco Alessandro Busetto, 0,34% alla lista del PCL).
 Infine, chiudiamo con una piccola nota positiva. 
A Cerreto d’Esi (4mila abitanti, provincia di Ancona) dove si era votato anche lo scorso anno (4,16% alla lista del PCL), abbiamo più che raddoppiato i consensi (10,63%, 175 voti), ELEGGENDO IL COMPAGNO MARCO ZAMPARINI IN CONSIGLIO COMUNALE.

Un risultato limitato, quindi, per il numero di realtà in cui siamo stati al voto, oltre che per i consensi ricevuti.  Un risultato positivo: pur essendo una piccola forza, oramai cancellati dai media (anche da quelli di sinistra), abbiamo dimostrato che è ancora in campo una prospettiva comunista e rivoluzionaria.

Ovviamente tali considerazioni partono da un presupposto ben preciso: l'eventuale partecipazione elettorale non deve in nessun modo compromettere le altre attività del partito, né dal punto di vista economico ne dal punto di vista militante. Devono essere un qualcosa in più che ci serve a propagandare il nostro programma sempre ribadendo, come abbiamo fatto in tutte le situazioni in cui ci siamo presentati, la nostra totale sfiducia nelle istituzioni borghesi (non è un caso che tutti i nostri programmi elettorali terminano con la frase SOLO LA RIVOLUZIONE CAMBIA LE COSE).

Tirando le somme generali, possiamo concludere che le elezioni sono (e sono state) un termometro indispensabile per farsi un’idea del tipo di febbre, malessere, tensione o anche semplicemente delle attese che vive il Paese.
E non va sottovalutato che tipo di disagio, scorra sotto pelle e che queste elezioni amministrative, per quanto saggino fenomeni e condizioni particolari e locali, irreversibilmente ne registrano la “testimonianza politica” , dal momento che coinvolgevano al voto  22 milioni di cittadini su una percentuale di 50 milioni di votanti. Queste tra l’altro, raccontano in particolar modo anche la storia di un declino, quello di Renzi e di un’illusione infranta che dal 40% delle passate europee, a livello nazionale,  ad oggi ne ragiona giusto per un 23,7%!. 

Renzi appare forte, ma di riserva fragile e poco credibile, mentre soffia e va monitorata, la carogna fascista. La sua infatti è la protervia di chi ha contrapposte pochissime rappresentanze politiche anticapitaliste, capaci realmente di tesaurizzare il frutto delle battaglie di cui il PCL, prova farsi interprete sincero e laborioso.

La forza di Renzi è dunque l’altrui debolezza. Di certo la macelleria del “Jobs act”, lo smantellamento nella“buona scuola”, ha  rappresentato una spinta non da poco e in basso al PD  e che per i compagni, può significare solo una cosa: ripresa delle lotte con maggior vigore e rabbia. 

Matteo è il segno mass mediologico e del liberismo irreversibile e maturo dei tempi, esiste nella misura in cui la sua sovraesposizione rimanda l’immagine plastificata del premier giovane, decisionista e vincente e che nel frattempo che le masse – assenti tra l’altro – si affannano alla ricerca di una risposta al dubbio e  nella solitudine dell’urna, gioca e si rilassa alla playstation.

Ben sette anni di crisi, che pur se  non danno voce e autenticità ai partiti di centrosinistra, si inverano nel M5s che pare consacrarsi e che in soli tre anni ondeggia fra il 18 e il 25% , offrendo spunti di notevole preoccupazione.

E inoltre, sulla retorica dell’esercitare il dovere/diritto del voto borghese, va aggiunto che è possibile condurre la res publica anche con la metà mancante di elettori, poiché i non votanti, non creano alcun tipo di angoscia. Nel demo/capitalismo, avviene esattamente e non da poco tra l’altro, in questo modo: l'astensionismo di per sé non crea né conflitto né crescita e mobilità sociale.

A noi, che non possiamo e non vogliamo altro che considerarci dei rivoluzionari, tocca il compito di combattere Renzi e le politiche della reazione, agendo su più piani, per restringere ogni spazio che gli dia consenso, rendendogli realmente impraticabili le sue politiche omicidiarie e che percorrono in lungo e in largo la strada lastricata delle pessime intenzioni, che va dallo Jobs Act, alla Buona Scuola allo Sblocca Italia e questo sia per il pericolo immediato che rappresentano, per cui urgono azioni di dissenso forte, ma soprattutto perché è giunto il momento che i comunisti, preso atto di ciò, si concentrino nel sabotaggio del sistema capitalista e ciò può avvenire solo con la coscientizzazione della lotta di classe, radicalizzando sì il conflitto, ma soprattutto indirizzandolo a colpire i punti nevralgici della produzione e della mercificazione culturale.
 Non è facile ma di certo non improponibile.

E l’impegno non può essere scevro da un lavoro capillare e continuo: nei quartieri, nelle periferie, nelle fabbriche, nei sindacati, nei luoghi della nostra esistenza, dove la disperazione è reale ed è scevra della suggestioni oniriche dell’imbonimento elettorale e padronale che da sempre (e non si è affatto sottratto neanche questa volta) mira a soffiare sul fuoco del malessere che trova voce in facili soluzioni razziste e deresponsabilizzanti, nell’imperituro divide et impera.   
 E necessario porre attenzione anche alle chimere che per tanti rappresentano Podemos o Syrizia: esse non sono in grado di contrastare realmente la ristrutturazione sociale voluta dal potere economico – finanziario Occidentale attraverso politiche di austerity a carico della popolazione, i cui effetti sono di impoverire sempre più le fasce deboli e spingere verso il basso una parte della piccola e media borghesia. Quanto sta accadendo in Grecia dimostra palesemente la sudditanza dello Stato greco nei confronti della longa manus del potere economico – finanziario.

Mettersi al servizio delle grandi masse popolari, ascoltarle, reindirizzarle, spremere da loro tanta potenzialità socialista, è possibile ma solo con una paziente e certosina azione tattica (oltre che di analisi) e un Syriza, un Podemos, tutt’al più, possono rappresentare il prezzo del tempo necessario al programma (inteso forza/programma/organizzazione come orizzonte strategico) ma non la soluzione e non il superamento, neanche di mediazione ad una condizione economica, sociale, politica che di fatto, è sempre lo stessa e di cui ne cambia solo il camouflage.

In Italia inoltre, non solo una cosa del genere non sarebbe possibile, ma si rende ben chiaro che il  capitalismo, tende e porta alla dittatura del capitale e non può essere riformato : la costruzione credibile, reale di un impegno, non può realizzarsi dunque in una semplice resistenza oggettiva delle persone, né reputare passabile un tale sistema “pur se” imbrigliato da elementi di socialismo.


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