2.11.15

#TURCHIA VINCE LA STRATEGIA DELLA TENSIONE. VINCE IL GOVERNO FASCISTA DI ERDOGAN




In Turchia la strategia della tensione ha vinto. Si è vissuta un’ansia che per due giorni è stata percorsa da dolore e paura, fatta della violenza, del sangue , di molte ambiguità. Le elezioni che si sono tenute oggi, hanno contenuto tutto questo come un eco che non puoi trattenere ed è presagio di altro, di troppo altro e brutto. Le continue stagioni, la repressione, sempre in bilico dall’incancrenimento di un conflitto che si rende incandescente e diffuso, ha restituito a queste elezioni, lo spettro che ha avuto il volto dei trentadue morti di Suruc, i più di cento di Ankara, le azioni dei guerriglieri curdi nell’uccisione di un altro centinaio di militari, mentre gli inermi civili curdi, nei remoti villaggi del sudest, si ritrovano vittime di controffensive e rappresaglie turche. Di Erdogan, la protervia, si è realizzata e nel contesto istituzionale, quando nei suoi numeri per quasi cinquanta milioni di elettori (la distribuzione si contemplava prima del richiamo alle urne di oggi, per ottantacinque distretti che contavano più o meno seicento seggi della camera unica a Meclis del parlamento, spalmati numericamente in settecento unità divise tra gli tra costituzionalisti legalitari e in attesa di cambiamento e i restanti di soluzione referendaria), riesce fino a giugno ad indebolire il proprio partito e a creare una sotterranea ma intensa inquietudine d’opposizione, al punto che se quattro anni fa, l’Akp veleggiava con percentuali bulgare, nelle elezioni di giugno, si disperde, dimezzandosi. Senza tenere conto delle forze nazionaliste, seguite da quelle democratiche che ad oggi sembravano limitarne i progetti e le ambizioni. Di certo, non era possibile, in questa fase politica, così instabile, pensare che nulla turbasse uno scenario incandescente e di continuo smottamento. Le celebrazioni per il 92° anniversario della Repubblica turca, si sperava non offrissero di certo il fianco alla retorica, tanto più che ad occhio e croce, si stabiliva per l’Akp, una percentuale che non andasse oltre un 3% , anche perché l’Hdp sembrava contasse un discreto 12% con la sicurezza di una rappresentanza parlamentare piuttosto solida. Voci discordanti prevedevano tra l’altro anche la necessità di successive nuove elezioni per il timore dell’immobilismo, tanto che se Ahmet Davutoğlu, poteva essere considerato il più perplesso alla possibilità di elezioni, non venendosi a creare alcuna ostilità alle coalizioni, oramai era chiaro che si fosse data la stura a non irrealistiche previsioni di instabilità economica e sociale profonda. C’è da aggiungere che comunque se all’ultima tornata non era venuto meno l’apporto dei kemalisti al partito repubblicano (CHP) e nazionalista (MHP), con una stratificazione che a giugno, vede l’Akp perdere in emorragiche e transfughi rimpolpamenti al Chp e Mhp - di fatto - con i risultati di oggi pare proprio che la presa di posizione da parte di Erdogan nel vestirsi di autoritarismo occhiuto e livido, di quello che potrebbe far sentire al caldo e “a casa” i Lupi grigi, abbia sortito per lui, il più che ottimo e appetitoso bottino di 315 seggi su 550. In questo climax di sopruso, stato di polizia e repressione, che va dall’oppressione e poi la persecuzione del movimento di Gezi Park e succedendosi a a questo, in altre violenze, continuano comunque a muoversi in magmatica composizione e ricomposizione, diverse espressioni e forze, andando da Hdp, alla comunità gülenista (capace di creare in pochissimo tempo un impero mediatico e finanziario estremamente ampio, con numerose scuole ed università che dal paese si estendono a tutto il mondo e di forza capitalista che preme per proporsi come emergente e di natura non laica). Questa di fatto, è ragione di non poco conto e che sostituisce al secolarismo, in Turchia, un nazionalismo di robuste radici e richiami e pur essendo estranea come tradizione il presidenzialismo, senza alcun appannaggio costituzionale, comunque non ha impedito ad Erdogan, di esercitare il proprio arbitrio nel potere esecutivo, rispetto a quello legislativo e giudiziario. Poi vi è la questione curda, che non solo non si redime ma si complica ulteriormente, basti pensare ad esempio, quanto per i kemalisti ortodossi, neanche si ponga il diritto delle minoranze all’ autodeterminazione. Per ciò che concerne il Pkk, nonostante la presenza consistente, gli è comunque impossibile materialmente, presidiare tutte province del sudest (anche se fino a cinque mesi fa, plebiscitaria era la percentuale dell’ Hdp) ed altresì è impensabile immaginare una resa al suolo dell’esercito di Ankara, indipendentemente dai continui e sanguinosissimi eccidi. Ed anche qui, la mappatura si fa articolata e si va dall’autonomia confederale di Öcalan, al moderatismo di Selahattin Demirtas, di grande richiamo e di capacità aggregativa profonda, alla sovversione armata dai Monti Qandil e le richieste nella prigione ad Imrali della mediazione tesa disinnescarne le deflagrazioni più ribellistiche , rimanendo di fatto una tragedia senza alcuna vera risoluzione. Inoltre, se l’intensificarsi degli scontri armati con il Pkk, è stato un nodo gordiano per gli elettori, si sperava che le contumelie del presidente e dell’Akp all’Hdp, non solo non ne inficiassero la forza e la permeabilità tra la popolazione ma dessero conferma alle diverse analisi ottimiste come quella del giornalista Metin Münir del portale informativo T24 che riguardo la questione curda e del partito di Erdogan, così s’era espresso: "L'Akp è un partito in discesa. L'elettorato indeciso, che rappresenta il 17% dei votanti, non premierà l'Akp perché hanno visto che Erdogan ha risvegliato il terrore del Pkk e che è pronto a condurre la Turchia in guerra". La politica del presidente inoltre è politica di estrema incertezza economica e la questione economica resta centrale, pur se il risultato elettorale è stato differente dalle aspettative. Inflazione, disoccupazione sono di parabola ascendente. Con oggi, si è dunque stabilito che in Turchia, l’imperialismo dovesse nuovamente di voce grossa decidere di sé e della sua prospettiva futura in scacchiere internazionale. Tutto su uno sfondo di tinte fosche e grottesche, con un Erdogan che intanto in questi giorni, ha in modo puramente strumentalmente ricordato - ponendosi in polemica con il papa - l’anniversario del sangue versato dagli Armeni nel genocidio del 1915 compiuto dai turchi oppure quando volando a Bruxelles, minaccia la Nato - di cui la Turchia ne è Paese membro - e ne sventola la paura dell’intervento russo rappresentato nella guerra civile siriana, puntando il dito che vuole per quella clausola che obbliga gli altri aderenti a mettere in campo apparati militari, quando si paventi per una nazione ivi inclusa, un pericolo. Per non aggiungere, che potrebbe configurarsi all’interno dei confini turchi, l’esodo di due milioni di siriani che abbandonati i campi profughi, si muoverebbero alla volta dei porti dell’Egeo, nel cuore la speranza balcanica, soprattutto dopo il dietrofront della Merkel, la cui decisione di apertura alle frontiere è condizionata a quanto le si colmi la borsa e l’assicurazione della Turchia alla Ue in salda adesione. Affranti, ne registriamo dunque la vittoria e di palese evidenza: nella maggioranza assoluta del parlamento turco, infatti, pur se ancora in corso, nello spoglio avanzato, l’Akp ottiene e supera il 50% dei suffragi e di sangue innocente versato, come quello che macchia di vergogna e orrore e ferisce Kobane nella lotta e nella resistenza dei curdi contro l’Is ( in quell’indifferenza dei soldati turchi, che a pochi minuti dalla città, rimanevano fermi) . Altri risultati ci informano del 23,8% del Chp e di un Mhp, all'11,7%. L’opposizione è dunque fragile, indebolita e l’Hdp potrebbe non superare la soglia di sbarramento. Presagi sembrano quasi palpabili e tutti di ombre nere: a Diyarbakir, la polizia ha caricato dei militanti curdi, sparando lacrimogeni contro le persone che lanciavano pietre. La città è un incendio e le barricate si alzano e così la rabbia e la nostra, lontana e impotente. Va detto però in aggiunta e di sguardo critico e affilato che tale eclatante risultato di Erdogan è da attribuire anche ai curdi moderati e alla spaccatura del PKK. Come chiedere infatti, un tavolo di trattative e accordi, nello stesso momento in cui un governo fascista ti sta massacrando nelle piazze, ti sta bombardando?

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