10.4.16

ISIS COME E PERCHE'




Baššār Ḥāfiẓ al-Assad, come suo padre del resto, non è stato mai visto di buon occhio dagli americani, dal momento che la Siria è da sempre amica della Russia e per l’imperialismo USA, uno Stato che potesse ospitare l’imperialismo Russo, in un’area economicamente strategica come quella medio orientale non poteva che definirsi come sgradita, cosa da evitare e a cui porre rimedio. Al primo alito di vento della primavera araba ecco l’occasione per gli Stati Uniti, per combattere il regime siriano, ovviamente non in prima persona perché questo avrebbe potuto significare lo scontro con la Russia, ma creando una formazione, anti Assad, che addestrata, armata e finanziata con discrezione, ma non tanto, potesse scalzare dal suo scranno il giovane Baššār. Purtroppo per gli USA, le vicende non sono andate come programmate, ma questo è un film già visto, perché identica manovra, gli americani l’avevano già portata avanti in Afganistan, dando vita ai Talebani, utili a combattere il governo della Repubblica Democratica di quel paese, allora sostenuto da un massiccio contingente di truppe terrestri e aeree dell’Unione Sovietica, dal momento che come allora i Talebani, così stavolta, coloro che per gli USA sarebbero dovuti essere i bravi ragazzi destinati a combattere il regime siriano, sono sfuggiti di mano e si sono evoluti, diventando ISIS. Al di là di tutte le idiozie dette da Obama, da Putin e da tutti gli altri capi di stato coinvolti a vario titolo in questa vicenda, scomodando concetti come democrazia, libertà, giustizia e altro, resta il fatto che questa è una guerra (non tanto fredda) tra Russia, Stati Uniti e i piccoli imperialismi presenti nell’area del Mediterraneo, combattuta per i motivi di sempre: supremazia strategica, petrolio e controllo della sua commercializzazione. L’ISIS è già in embrione nel 2006, come filiazione di Al Qaeda, ma è solo nel 2011, quando oramai la Siria si avvia alla guerra civile e a tutto lo sfacelo che ne seguirà, che compare la sigla IS (Islamic State) prima sotto la guida di Abu Ayyub al Masri, morto in uno scontro a fuoco con i soldati USA ma che poteva vantare un non trascurabile pedigree di terrorista internazionale e poi di Abu Bakr al Baghdadi, attuale capo dell’ISIS, di nazionalità irachena, anch’egli terrorista, che è la prova vivente del dilettantismo (se non della cattiva coscienza) degli americani, dato che, questo signore, catturato nel 2004 presso Falluja e carcerato nel centro di detenzione statunitense di Camp Bucca, fu rilasciato nello stesso anno perché valutato “prigioniero di basso livello”. USA, Arabia Saudita e Qatar hanno finanziato lo Stato Islamico con ottiche e strategie in contrasto tra di loro ma come unico punto in comune quello di sbarazzarsi del siriano alawita e, sin dall’inizio, l’amalgama con il nucleo jihadista, accanto al quale si è costruita quella che potremmo definire la struttura sociale e militare dell’ISIS, è stata formata da quella parte superstite della borghesia statale sunnita, che era fiorita e cresciuta alla corte di Saddam Hussein e che aveva, sin lì, avuto vita agiata garantita dalle immense entrate che il petrolio forniva e che occupava capillarmente i centri più importanti delle strutture dello stato iracheno. Erano, praticamente, tutte persone che si erano passivamente beate nel governo degli asset petroliferi, amministratori delle imprese di stato, alti quadri dell’esercito e della pubblica amministrazione, ma anche ricchi commercianti e uomini d’affari: questo il vertice, il nucleo dirigente che ha formato ed è tuttora ispiratore e struttura portante dello jihadismo sunnita, degenerato, poi, nel più bieco integralismo; ma questo è un aspetto secondario della questione, perché la borghesia, decisamente laica, non ha mai avuto chiusure nei riguardi della religione, poiché la riconquista del potere per cui “val (pur) bene una messa” - come ha detto qualcuno qualche secolo fa – si realizzava come la motivazione catalizzante contro i nemici dell’ISLAM. All’epoca gli USA erano assetati di petrolio, seriamente preoccupati dalla possibilità che l’euro si apprezzasse ulteriormente nei confronti del dollaro e soprattutto li agitava non poco il fatto che Saddam Hussein avesse più volte minacciato di voler dirottare il suo petrolio verso sponde diverse e richiederne il pagamento in euro; a tutto questo si aggiungeva il fatto che la vecchia classe dirigente sunnita era stata sostituita da quella sciita, messa completamente fuori da qualsivoglia gestione di potere economico, politico e amministrativo, cosa che aveva definitivamente chiarito agli americani che in terra di Mesopotamia non c’era più nessuno che potesse fare da sponda ai loro interessi. Partendo, quindi, dall’idea di una vera e propria vendetta da parte dei sunniti, accade che i primi nuclei di combattenti dell’ISIS si siano ritrovati uniti alle aspettative di rivalsa di una parte della borghesia statale irachena sunnita, dove erano presenti anche molti dei vecchi generali di Saddam, i quali, formati presso le migliori scuole militari occidentali, hanno avuto gioco facile nel dare una impostazione militare di prim’ordine a quello che sarebbe stato poi l’esercito di al Baghdadi e del quale i comandanti, sunniti anche se laici, provengono tutti da quelle forze armate irachene distrutte dagli americani nell’invasione del 2003; per rendere l’idea di chi si parla, sono sufficienti due nomi su tutti: Izzat Ibrahim al Douri, ex braccio destro di Saddam Hussein, ucciso dagli americani in un raid e Ali Mohammed Nasser al Obeidi, uno dei capi della Guardia Repubblicana, l’addestratissimo corpo speciale che il rais iracheno aveva voluto a sua personale difesa. Questo il vertice, mentre la base che man mano si aggregava ingrossandone le file, era formata da un insieme di proletari, sottoproletari e diseredati di varia natura, insomma, gente che, per usare una vecchia, efficace espressione, non aveva più, o non aveva mai avuto, “né cielo da vedere, né terra da camminare”, politicamente priva di ogni qualsivoglia orientamento e priva di ogni istanza di classe, quindi facile da manipolare, indottrinare e convogliare nel contesto una dottrina jihadista; persone, di fatto, tenute accantonate e da poter usare nel momento in cui le strategie borghesi avessero ritenuto di doversene servire, operazione questa, risultata di facile approccio, proprio per la condizione di assoluta incertezza portata dalla guerra, per cui, nel loro contesto, rabbia ed estremismo sono stati sentimenti sempre maggiori ed evidenti. Senza esser politologi o analisti di navigata esperienza, non ci vuole molto a capire che l’islamizzazione ha creato una perfida identificazione diventando per molti un motivo di riscatto, tutto grazie a una serie di ingredienti che, messi insieme, hanno creato quanto di più esplosivo, feroce, critico e disumano si potesse immaginare. In aggiunta a questo, non bisogna dimenticare che al Baghdadi è un laureato in teologia e quindi un uomo di fede: per la soldataglia tagliagole ISIS egli è la guida designata da Allah perché l’Islam possa riscuotere dall’occidente, corrotto e corruttore, i debiti contratti nella storia. È di una sconcertante ovvietà il fatto che, ancora una volta, masse di proletari siano rimaste imprigionate in questo folle ingranaggio unicamente per essere usate come “carne da cannone”, soldatini di giochi di guerra voluti e creati dai vecchi e nuovi imperialismi ed è ancora più triste rendersi conto che una certa sedicente sinistra d’occidente sia a questi solidale e si schieri sul tracciato della conservazione del sistema. Un altro elemento caratterizzante del mattatoio che man mano si è sviluppato, è la presenza dei combattenti stranieri, o come molti dicono, per essere eleganti, foreign fighters; secondo uno studio realizzato lo scorso gennaio dall’ICRS (International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence), sarebbero circa ventimila le persone partite dai paesi occidentali per unirsi alle fila dell’ISIS in Siria e in Iraq, ma chi sono questi che hanno lasciato altrove le loro vite, per infilarsi in un contesto a braccetto con la morte? Generalmente si parla di individui di età compresa tra i diciotto e i trenta anni, alcuni ben istruiti, quasi sempre senza esperienza militare, persone nate in uno qualsiasi dei paesi europei, la cui fede religiosa, vissuta in modo radicale, li porta su quei teatri di guerra, là dove la Jihad cerca di imporre la Shari'a. Va detto che il fenomeno, in questo caso, è piuttosto pronunciato al punto che, a causa del consistente numero di volontari stranieri, è stato possibile formare un nucleo composto esclusivamente da costoro: lo Jaysh al-Muhājirīn wa l-Anṣār (Esercito degli Emigranti e degli Ausiliari). La riflessione che obbligatoriamente bisogna condurre, parlando di questi ultimi, è che sono mostri creati dall’occidente, figli di un altro dei tanti mali generati dalle società dei paesi ”civili”: questi giovani, nati e cresciuti in paesi come Francia, Germania, Belgio o altri, sono cittadini europei, ma sono anche i diseredati delle banlieue, delle periferie, dove l’emarginazione la vivi come una cappa irrespirabile, dove il razzismo se non è apertamente manifestato, comunque resta una condizione latente. Sono persone la cui condizione non è dissimile da quella chair à canon tenuta in serbo dalle borghesie dei paesi dilaniati dalla guerra. L’ISIS pertanto, per costoro, si configura come strumento di riscatto e lo Stato Islamico come una vera e propria patria, percepita come “quella vera” rispetto al paese di provenienza ma nel quale la propria storia è spesso narrazione di periferia, desolazione, inoccupazione, xenofobia strumentale e subíta, consapevolezza di uno sfruttamento che però quasi mai attiene alla coscienza di sé come classe, in una condizione sociale che cerca riscatto non in ragioni profonde e dunque: sociali, politiche, economiche ma in pericolose e manipolabili aspirazioni religiose e attuazioni teocratiche.

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