9.4.17

IL SOLDATO TRUMP VA ALLA GUERRA


Facciamo un passo indietro perché forse ci siamo persi qualcosa: nel 2014 Bashar el Assad, presidente siriano, consegnò le armi chimiche in suo possesso a una commissione internazionale e la cosa fu certificata da John Kirbi, allora portavoce del pentagono il quale informò il resto del mondo che un cargo, battente bandiera danese, sarebbe arrivato il primo luglio in un porto calabrese e aggiunse, per fugare le preoccupazioni dei cittadini, che le armi sarebbero state neutralizzate “in acque internazionali, in modo sicuro” e tutto il mondo tirò un sospiro di sollievo, tranne, forse, i cittadini di Gioia Tauro (il porto in cui approdò la nave danese), il cui respiro deve essere stato meno profondo. 

Ora, dal momento che ufficialmente la Siria era senza armi chimiche, dal momento che Washington sapeva questa cosa e dal momento che la Russia, sin qui tutrice di Assad, ha dichiarato ufficialmente che c’è stato un bombardamento siriano nei pressi di Khan Sheikum, bombardamento diretto contro un deposito di armi degli Jihadisti e ha sollevato l’ipotesi che quello che è oramai “un attacco chimico contro i civili” possa esser stato la conseguenza dell’esplosione del deposito jihadista dove erano custodite anche armi chimiche, o solo armi chimiche, le domande da farsi sono due: “Se Assad conservava ancora, almeno parte, del suo arsenale chimico, chi, nel 2014, doveva controllare, si è fatto imbrogliare?” e allora questa è incapacità bella e buona. 

E se è invece la Russia a dire il vero, l’altra domanda è: “Chi ha dato le armi chimiche ai tagliagole dell’ISIS?”. Ovviamente queste sono discussioni d’accademia, perché non si conoscerà mai la verità e in quell’immenso mattatoio che è diventato quell’angolo di mondo, tutti hanno torto e ognuno si sforza per dare il peggio di sé, in una sorta di gara dove quello che conta è il prestigio della propria forza, dove le azioni sono ispirate a sentimenti di vendetta, dove l’esigenza di tutti è riuscire a tenere ben saldi i piedi su una terra in cui gli interessi economici sono ancora tanti, dove i bombardamenti, i massacri, gli attentati e i crimini degli altri sono una giustificazione per i propri, dove ferocia e crudeltà si avvitano senza fine e dove la vita delle persone oramai vale meno di niente. 

Ma parliamo un po’ di tutti i protagonisti: l’attore principale del momento è Trump, che ha bisogno di accreditarsi come l’uomo forte del mondo e che intende ricordare a tutti, alleati e non, che gli USA sono stati, sono e resteranno i guardiani del mondo. Nella serata del 6 aprile, gli Stati Uniti si erano associati all’iniziativa presa da Francia e Gran Bretagna per la convocazione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la condanna degli attacchi chimici in Siria. In tre avevano messo a punto la bozza di una risoluzione che non prevedeva, almeno nell’immediato, un intervento militare, ma avevano ipotizzato l’avvio di un'inchiesta dove il presidente siriano era chiamato a una stringente collaborazione; si leggeva, infatti, nel testo che Assad avrebbe dovuto “fornire i dati dei voli militari del giorno dell'attacco, i nomi degli ufficiali al comando di squadre di elicotteri e delle basi da cui erano decollati gli aerei impegnati nel bombardamento”. La risoluzione, però, non è passata, perché 

La Russia, una delle cinque potenze, membro permanente nel Consiglio di Sicurezza e con diritto di veto, la ha respinta “in modo categorico", come ha dichiarato in maniera scarna Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri Russo, aggiungendo che “gli USA hanno presentato una risoluzione basandosi su rapporti falsi. Questo documento complica i tentativi di una soluzione politica alla crisi, è anti siriano e può portare a un'escalation in Siria e nell'intera regione.”, praticamente un invito a nozze per Trump che ha dato libero sfogo ai suoi istinti guerrafondai e che con due navi e cinquantanove missili Tomahawk ha inviato un messaggio chiaro e inequivocabile: “Io ci sono!” consentendo, in tal modo, agli USA di riacquistare, in quello scenario, il ruolo di prima donna, coerente con la sua natura imperialista. Sì, perché, superato il primo impatto emozionale, ragionandoci sopra, Trump non ha voluto veramente “far male”, se lo avesse voluto, avrebbe indirizzato i cinquantanove missili, non sulla base aerea del bombardamento, ma sul palazzo presidenziale di Damasco, risolvendo una volta e per tutte la questione Assad, ma una cosa del genere avrebbe avuto implicazioni diverse e più pesanti; alla fin fine i missili sono stati un messaggio politico e poco importa se per inviare un messaggio ci sono stati quindici morti, tra cui nove civili e quattro bambini: quelli non contano e si chiamano “effetti collaterali”. 

L’altro protagonista è Putin, che da quelle parti, a spese di Obama, si era guadagnato un ruolo leader e che oramai ha visto bastonato il proprio prestigio. Putin è un personaggio del quale tutti conosciamo l’estrazione: uomo dei servizi segreti, abituato a muoversi con regole e schemi diversi, sospettato di esser il mandante di diversi omicidi in danno di quanti lo hanno avversato nell’esercizio del suo potere, potrebbe tranquillamente aver mentito per assolvere Assad dalla responsabilità dell’uso dei gas e una menzogna che coinvolge la morte, sicuramente atroce, di bambini e civili innocenti, non è sicuramente una cosa che possa turbare più di tanto la sua coscienza. In tutto questo c’è da considerare che Trump e Putin sono persone estremamente decise e per il momento il ruolo di quest’ultimo, nella zona, è stato in qualche modo ridimensionato, ma ove mai dovesse essere spinto all'angolo, la crisi potrebbe diventare imprevedibile e non dobbiamo dimenticare che questi due personaggi hanno a disposizione i due più grandi arsenali di armi nucleari del mondo. 

Poi c’è l’Europa, in evidente stato confusionale, i cui leader, dopo aver metabolizzato l’eccitazione delle prime notizie, hanno rilasciato, più o meno tutti, dichiarazioni possibiliste e giustificative nei riguardi di Trump, nessuno si è espresso in maniera netta e incisiva, d’altronde è in occasioni del genere che ricevi la conferma di tutta l’inadeguatezza posseduta dalle persone che si piccano di essere capi di stato o di governo e sudditi del Patto Atlantico e zimbelli del Comitato d’Affari della Borghesia della Troika. Per amore di giustizia, una citazione a parte merita l’Inghilterra (che non è più Europa) che per bocca della sua premier, signora Theresa May, ha usato, per approvare ed essere solidale con Trump, gli stessi toni entusiastici e da servo sciocco del padrone che aveva usato Tony Blair quando, innamorato di Bush figlio, si dichiarò pronto a inviare le truppe di Sua Maestà in Iraq per abbattere Saddam Hussein. Di contorno poi ci sono poi i personaggi di sempre: i capi dei vari stati, staterelli ed emirati, più o meno tutti espressone di una ferocia senza limiti, i quali sono solo preoccupati di difendere i propri interessi di bottega; innanzitutto assicurarsi una lunga, lunghissima, permanenza a capo del proprio paese, che nemmeno un imperatore medievale si sognava e accumulare patrimoni personali da collocare in giro per il mondo, in modo da potersi assicurare un eventuale esilio dorato. 

Tra tutto il variegato mondo di questi personaggi, in questo momento, sulla cresta dell’onda c’è Bashar al Assad, rampollo della dinastia che governa la Siria da più di quaranta anni, amico della Russia, personaggio che, con la sua benedizione, è riuscito, di fatto, a massacrare il proprio popolo; e pensare che Bashar non era destinato a succedere al padre nella guida della Siria; introverso e schivo, da giovane, ha studiato medicina in Inghilterra, ma le vicende del suo paese lo hanno riportato in patria come capo dello stato e la cosa gli deve esser piaciuta tanto che per difendere il suo ruolo è riuscito a fare più danni del padre. Un po’ più in là c’è Erdogan, nemico di Assad, contro il quale ha invocato la punizione divina, una sorta di imbonitore che è riuscito a farsi pagare miliardi dall’Unione Europea per tenere prigionieri quanti scappano dalla guerra, la cui unica preoccupazione è quella di accrescere il proprio potere, di accumulare soldi e di massacrare Curdi, ma di massacrare anche quei Turchi che non si mostrassero felici e contenti della sua presidenza. Però va anche detto che se Erdogan è nemico di Assad, è invece amico di Putin (che è amico di Assad) perché insieme hanno firmato gli accordi per realizzare il gasdotto Turkish Stream che porterà attraverso il mar Nero il gas russo in Turchia e poi, secondo il progetto, in Europa. 

Per aggiungere chiarezza a chiarezza, va detto che non meno equivoca è la posizione dell’Arabia Saudita, paese che ha le più grandi riserve di petrolio al mondo, che è la sesta più grande riserva di gas naturale al mondo e che, sempre al mondo, è l'unico paese che vieta alle donne di guidare veicoli ed è uno dei pochi a non avere un parlamento. L’Arabia è culla della dinastia saudita, anche questa preoccupata, come altri del resto, a far soldi e a radicare il proprio potere, che non solo foraggia le forze integraliste, ma continua i suoi bombardamenti su Bahrein e Yemen, campagna questa, contro i ribelli sciiti houthi, che è costata decine di miliardi di dollari, che ha ucciso almeno diecimila Yemeniti e che ha incrinato in parte i rapporti con gli USA, tant’è che sotto l’amministrazione Obama è stata ridotta la vendita di armi negando loro le bombe guidate. 

La lista potrebbe continuare, si potrebbe parlare di Libia, di Libano e di altri paesi che vivono oramai situazioni disastrate i cui parametri non si discostano da quelli sin qui enunciati, resta di fatto che il tutto è uno scenario di una opacità tremenda, in cui i personaggi, che pur appaiono diversi tra di loro, maggiori o minori che siano, hanno tutti un denominatore comune: rubano la vita della gente e quelle vite non valgono nulla, nelle loro guerre che sono sempre i nostri morti.

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