L’alternanza scuola lavoro è da sempre stato un tema caro a diversi ministri della pubblica istruzione; propinato a ogni cambio di gestione come elemento innovativo, utile e indispensabile per garantire in parallelo con un buon livello di istruzione, anche una buona formazione professionale, di fatto, non è mai decollata, fatti salvi pochi esperimenti, riusciti più per i meriti di qualche preside illuminato (preside, non dirigente scolastico) che per quanto sia, invece, stato previsto nel corso degli anni dalle varie normative appositamente studiate.
Finalmente, però, dopo anni vissuti con profilo altalenante, ma sempre piuttosto basso, il nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha rispolverato l’argomento, propinandolo, così come fatto da quanti lo hanno preceduto, come elemento innovativo, utile e indispensabile per garantire finalmente, assieme a un buon livello di istruzione, anche una buona formazione professionale.
Il tutto è stato sintetizzato nella legge 107, che, senza pudore alcuno, va sotto il nome di La Buona Scuola, un ennesimo nuovo impianto, fatto partire stavolta dal governo, Renzi dove l’alternanza è stato il suo motivo conduttore: finalmente la prima pietra per costruire un avvenire radioso di preparazione e lavoro per i nostri studenti, altrimenti aspiranti disoccupati.

Quanto oramai diventato legge, si articola nel suo complesso in quattrocento ore per gli istituti tecnici e professionali e duecento per i licei e fin qui siamo alle carte, ma facendoci sopra qualche ragionamento, magari si capiscono quali sono le reali dinamiche del meccanismo: attualmente la disoccupazione giovanile nel nostro paese è al quarantaquattro per cento e i cervelloni degli addetti ai lavori hanno concluso che questi numeri sono essenzialmente dovuti a un divario tra la domanda, che richiede “qualità” e l’offerta che invece ne offre di scarsa ed è ovvio che la colpevole debba essere la scuola che non è stata in grado di fornire le competenze adeguate.
Un tale assunto elude, in maniera deliberata, quelle che sono le reali cause della disoccupazione diffusa, cause che partono da lontano, da quando il capitale ha deciso che i soldi si possono fare investendo in altro capitale e non nel lavoro, il resto è stato uno scivolare continuo: una generale contrazione del numero di lavoratori impiegati nell’industria, delocalizzazioni, la sostituzione uomo/macchina per alcuni tipi di lavoro e non da ultimo un limitato, se non mancato, turn over, dovuto anche all’innalzamento dell’età pensionabile.

Ma la vera genialata della Buona Scuola consiste, in effetti, nell’aver messo le cose in modo che lo Stato, che ha sempre speso poco per la pubblica istruzione, riuscirà a spenderne ancora di meno e niente in alcuni casi; sì, perché, di fatto, accade che le imprese private potranno “investire” nell’istruzione, erogando finanziamenti e sviluppando programmi di alternanza e apprendistato e ogni scuola, se vorrà sopravvivere, dovrà cercarsi una sorta di “sponsor” che la “adotti” e che, di conseguenza, ne tracci le linee guida della didattica ritagliate ovviamente sulle proprie esigenze.
Questo, cosa comporterà? Certamente un abbassamento del livello qualitativo di istruzione fornita al singolo studente, istruzione che da istruzione tecnica si troverà a essere declassata a formazione professionale, perché è ovvio che tutto quanto non sarà funzionale all’azienda verrà tranquillamente messo da parte, limitando quindi il processo di apprendimento degli studenti unicamente a quanto serve a fare di questi, operai, tecnici e quadri proiettati verso la realtà dell’azienda sponsor, ma la cosa non finisce qui, perché con questo meccanismo le aziende guadagneranno non poco risparmiando sulla formazione professionale che normalmente viene svolta al loro interno.
Il discorso potrebbe continuare a lungo: competenze estremamente settorializzate vincoleranno gli studenti all’azienda sponsor che potrà, in seguito, grazie a quanto previsto dal Jobs Act, altro capolavoro Renziano, licenziare i propri operai nel momento in cui non fossero più funzionali all’azienda ed è ovvio che Confindustria e associati vedano con estrema simpatia quest’insieme di cose.
Inutile dire che quelle scuole che non riusciranno a trovare uno “sponsor”, sono condannate a una lenta agonia, che le vedrà prima relegate a un ruolo di serie minore, con un calo continuo di iscrizioni e quindi docenti inutilizzati e presumibilmente alla loro cancellazione, il che creerà più di un vuoto nella mappa dell’istruzione.

Che la Buona Scuola sia una truffa bella buona, un  imbroglio da 'trecartari', propinato per nascondere quella che è la vera realtà, per nascondere come il governo (ma non solo questo) dello Stato italiano non abbia in realtà alcuna considerazione per la pubblica istruzione, per gli studenti e per i lavoratori del settore, è reso manifesto da quello che è un altro aspetto della scuola, una piaga che si trascina da anni e per sanare la quale Renzi aveva promesso cose mirabolanti: il rivedere la situazione edilizia di tutte le scuole sul territorio nazionale e un veloce e rapido intervento per sanare ogni carenza.
La situazione dell'edilizia scolastica nel nostro paese è drammatica, oltre il cinquanta per cento dei quarantaduemila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non è a norma e almeno diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti.
Spulciando un po’ tra i numeri ne viene fuori che le Province che a oggi gestiscono 5179 edifici scolastici che accolgono circa 2.600.000 alunni, avevano definito impegni di spesa pari a 727.894.744 euro, ma a causa dei tagli imposti e degli obiettivi previsti dal patto di stabilità interno sono state costrette a ridurre quanti ipotizzato per una cifra pari a 513.272.984 euro, residuando solo un terzo delle spese programmate. Ne è derivata così l'impossibilità di fare le opere di manutenzione previste, compromettendo l'apertura di almeno 400 istituti superiori nel nuovo anno scolastico o consentendone l’utilizzo nelle precarie condizioni di sempre.
Quando si dice: “La Buona Scuola”.