18.2.17

RAGIONANDO SU TRUMP



di Chiara Pannullo

"Il popolo americano è formato per la maggior parte di gente profondamente ignorante!", lapidaria e forte questa affermazione, vero? E tutti, forse, immaginiamo che sia stata fatta da un “cattivo ragazzo” della parte “cattiva” della sinistra “cattiva”. Invece no! Sorpresa, sorpresa! A esprimersi così è stato Alan Friedman, durante una delle trasmissioni televisive che commentavano i risultati delle elezioni negli USA e come non dargli ragione, anche se il giudizio rimane, comunque, troppo tenero. Su questa cosa va fatta una piccola riflessione; sappiamo tutti chi è il signor Friedman: la medaglia che brilla di più sulla sua livrea è la collaborazione come stagista nell’amministrazione di Jimmy Carter, trentanovesimo presidente USA. 


Essenzialmente giornalista, esperto di politica, opinionista nell’ambito finanziario, economista e quant’altro, insomma il meglio che l’establishment economico planetario possa desiderare schierato dalla propria parte; e se questo signore, che è il peggio di quanto possa esprimere la classe padronale mondiale, dice quello che ha detto, l’equazione che se ne ricava è terrificante: se uno che di suo esprime il peggio, dice di un altro che questo è peggiore, c’è da aver paura nel chiedersi quanto quest’altro sia peggiore. In spregio a tutti i sacerdoti, le vestali e i guru dei sondaggi, interpreti e depositari del futuro immediato e a medio termine di popoli, nazioni e umanità in genere, le elezioni USA sono state un vero e proprio shock, un’onda d’urto che ha spazzato via, in una sola notte, tutte le certezze dell’establishment americano e internazionale. Michael Moore, di professione regista, da sempre impegnato nel proporre un’America diversa da quella della Coca Cola, intelligenza viva nel deprimente panorama delle intelligenze americane, aveva anticipato in fase di primarie: “Attenti, perché Trump sarà il candidato repubblicano.” e nessuno gli aveva creduto e, sempre non creduto, aveva poi detto: “Attenti, perché Trump sarà il nuovo presidente USA.” dimostrando, ancora una volta, di essere un profondo conoscitore della realtà americana, ma non quella che vive in stati ricchi e d’elite come il Connecticut o il Massachusetts, quella che, invece, vive in realtà dove l’abisso tra ricchi e poveri inghiotte città e vite, stati come l’Idaho, lo Utah, il Mississippi o la Louisiana dove la capitale, New Orleans, non si è ancora ripresa dai danni provocati dall’uragano Katrina del 2005. Fare un’analisi politica di Trump è praticamente impossibile perché non è mai stato un politico; sconosciuto ai più e conosciuto solo dagli informati del gossip internazionale, è comparso sulla scena mondiale in occasione della campagna presidenziale USA e la sua figura è quella di un outsider che ha scompigliato i piani della classe politica americana, repubblicana o democratica che fosse, classe che non ha mai conosciuto in maniera profonda la situazione che realmente esiste negli Stati Uniti e che non ha idea alcuna, di quello che esiste in ogni altro paese del mondo. C’è da pensare che il malessere della società americana debba essere ben profondo se, inspiegabilmente, grosse sacche di popolazione hanno preferito votare repubblicano a fronte della candidata del partito democratico che sbandierava il fatto che negli USA l’1% dei cittadini più ricchi avessero accresciuto il proprio reddito mediamente del 275% e che quindi si rendeva necessario tassare in modo più incisivo i redditi più alti, mentre il partito che ha vinto le elezioni, (già maggioranza al Congresso con Obama) si è sempre opposto a questa misura sostenendo di ridurre la spesa con tagli a istruzione, servizi sociali e sanità. L’unica cosa che possiamo dire di Trump politico, è che la sua campagna elettorale è stata il racconto di un incubo, incubo che poi è diventato realtà e, sempre per citare Friedman “Stiamo assistendo a quello che è, né più né meno, che un importante punto di svolta nella storia mondiale.”. Sono in molti ad avere paura del nuovo presidente USA; l’Economist l’ha paragonato alla caduta del muro di Berlino, commentando: “La storia è tornata, con una vendetta.”; l’agenzia Fitch ha detto di lui: “Trump rappresenta un rischio alle condizioni economiche internazionali e ai fondamentali globali dei rating.” e questo non fa altro che rafforzare i termini dell’equazione: “Se il peggio dice che uno è peggiore, quanto peggiore sarà quest’ultimo?”. Ma quelle che più spaventano sono le cose che dice il Financial Times, l'organo più rappresentativo della classe dominante britannica, in un articolo dal titolo “La vittoria di Donald Trump è un mandato per far saltare in aria Washington.” ci sono queste riflessioni: “Con l'elezione di un uomo che gli elettori sapevano essere irrispettoso delle sottigliezze costituzionali statunitensi, l'America ha inviato a Washington l'equivalente di un attentatore suicida. Il mandato di Trump è di far saltare in aria il sistema. La sua previsione di una Brexit decuplicata potrebbe dimostrarsi una sottovalutazione. Il Regno Unito potrà anche essersi lasciato andare alla deriva, ma le conseguenze della sua decisione sono in larga parte locali. Gli Stati Uniti, viceversa, sono sia il creatore che il garante dell'ordine globale postbellico. Trump ha corso con l’impegno esplicito ad allontanarsi da tale ordine. Come precisamente metterà in pratica il suo programma di Prima l’America, è a questo punto secondario.” e questo significa che il resto del mondo dovrà muoversi sulle rovine lasciate in giro da questo nuovo corso dell’amministrazione USA, mentre tutti noi ricordiamo cosa e quanto è costata, sulla pelle della gente, la crisi dei subprime partita dagli Usa alla fine del 2006 e globalizzatasi nel giro di pochi di mesi. D’altronde la squadra dei “Secretary” (l’equivalente dei nostri ministri) messa su da Trump lascia ben poco spazio ad attese diverse; basta fare alcuni nomi per capire quale sarà l’aria che tira: l’incarico più importante, quello di Segretario di Stato, che negli USA ha compiti non solo per gli affari esteri, ma anche competenze in ambito interno, lo ha ricevuto Rex Tillerson, amministratore delegato di Exxon Mobil, nomina con la quale Trump ha chiarito in che considerazione avesse i timori espressi, a destra e sinistra, sulle relazioni troppo strette fra il manager e il presidente russo Putin. (Tillerson ha trascorso gli ultimi quaranta anni alla Exxon, stringendo accordi in tutto il mondo inclusa la Russia). Poi c’è Stephen Bannon, nominato a capo della strategia, padre padrone del sito conservatore di destra a sfondo razzista: “Breitbarb News”. E ancora Jeff Sessions, segretario alla Giustizia, che è dichiaratamente ostile all'immigrazione clandestina, all'aborto e alla parità per i gay, mentre a capo della CIA è stato messo il repubblicano Mike Pompeo, esponente dei Tea Party e quindi dello zoccolo duro della destra repubblicana. Oppositore radicale dell'accordo nucleare con l'Iran e contrario alla chiusura di Guantanamo con un pedigree che si completa per essere stato tra i sostenitori del programma di sorveglianza dell'NSA rivelato da Edward Snowden. L’incarico di consigliere per la Sicurezza nazionale era stato dato al generale a riposo Michael T. Flynn, personaggio convinto che l'islamismo rappresenti una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti, ma la notizia, di queste ultime ore, è che tra il presidente e il suo consigliere vi sia stata “Rottura della fiducia”; il tutto deriverebbe dai rapporti poco chiari e mai chiariti che Flynn avrebbe avuto con l’establishment russo, verosimilmente con lo stesso Putin, e la cosa grave è che il generale, interrogato in proposito dall’FBI, avrebbe mentito, cosa questa che negli USA è un reato punito con il carcere. Invece il segretariato al lavoro è tutto un programma: l’incarico è stato affidato ad Andrew Puzder, amministratore delegato della catena di ristorazione CKE Restaurant, colosso dei fast-food, accanitamente ostile all'innalzamento della retribuzione minima dell'orario di lavoro a 15 dollari. Puzder, nella sua catena di fast-food paga i suoi dipendenti 7,25 dollari l'ora e asserisce che alzare la paga minima a 15 dollari farà aumentare i costi delle società, costi che ricadranno su i consumatori con il conseguente taglio di posti di lavoro, perché “ci sarà meno gente disposta a pagare di più per lo stesso panino.”. Ma se è vero che al peggio non c’è mai fine, la conferma la si ha guardando alla nomina del Segretario alla Difesa: l’ex generale dei marine James Mattis, pluridecorato soldato della prima guerra del Golfo, conosciuto anche come “Mad Dog” (cane pazzo), nomina con la quale Trump ha voluto sottolineare di aver nominato un “signore della guerra” e non uno scalda sedia, contrario, però, alla tortura, a differenza del suo presidente. Ovviamente ci sono altri “segretariati”, tutti con a capo personaggi in linea con le persone sin qui elencate e su i quali diventa inutile spendere altre parole, ma non ci si può esimere dal citare un’altra nomina, non di un ministro, stavolta, ma di un ambasciatore, non di uno qualsiasi, ma dell’ambasciatore USA a Israele, ruolo chiave in quel tormentato angolo di mondo: la scelta, fatta con il preciso intento di indicare chiaramente da che parte fosse l’amministrazione Trump, è caduta sull’avvocato David Friedman, noto per le sue posizioni estremiste, molto vicino ai gruppi che sostengono l’espansione degli insediamenti ebraici lungo la riva occidentale del fiume Giordano e noto per aver più volte attaccato gli ebrei liberal americani, definendoli peggiori dei kapò dei campi di sterminio. Questo significherà tempi ancora più duri per i palestinesi e, negli USA, significherà tempi più duri per ogni minoranza, per gay, transgender, per le libertà dei diritti civili, per i movimenti ecologisti e per quanti altri sono convinti che un paese non si possa governare con i metodi da padrone delle ferriere, tanto congeniali a Trump. A queste scelte si aggiunge l’erigendo muro al confine con il Messico: cosa di fatto incommentabile se si pensa che oramai siamo da 16 anni nel terzo millennio. In tutto questo c’è stato l’innamoramento con Putin, il quale si era pronunciato affinché il nuovo inquilino della Casa Bianca si adoperasse per migliorare le reciproche relazioni, tenendo, ovviamente, presenti i reciproci interessi, che tradotto vuol dire: dei banchieri e dei capitalisti, russi e americani, ma adesso, con il caso Flynn, questo amore rischia di incrinarsi. A tutto questo, va anche aggiunto che Putin cercherà sicuramente di approfittare del momento di confusione della Casa Bianca per accomodarsi ancor meglio sulla scena mondiale a iniziare dalla situazione siriana dove è entrato a gamba tesa e dove Obama non è andato al di là di deboli lagnanze e dove la nuova amministrazione non ha ancora detto o fatto niente. In questo immenso scenario Trump dovrà, prima o poi, affrontare gli incendi oramai innescati al di là dei confini USA, incendi dove gli USA hanno spesso fornito il fiammifero, mentre sarebbe una scelta estremamente pericolosa decidere di ignorare il resto del mondo per concentrarsi solo sui problemi interni: “quelle fiamme potrebbero bruciargli la porta di casa, o anche la stessa casa”. Un fievole, fievolissimo, barlume di speranza è attaccato a quella che potremmo chiamare “La terza profezia di Michael Moore”, il regista si è, infatti, detto convinto che Trump non terminerà il suo mandato, perché, visti i suoi metodi, le sue convinzioni e le sue capacità, prima o poi incapperà in un errore e allora potrebbe scattare la procedura di impeachment, ma la paura è che stavolta, il nostro amico Michael, non ci prenda. Tutto questo per parlare di Trump, ma dall’altra parte c’era la Clinton, una di quelle che, di fatto, ha contribuito a inventare l’ISIS, per poi ammettere candidamente: “C’è sfuggito di mano.”. L’America è questa, all’umanità ha dato solo due cose di buono: la Coca Cola e le Ray Ban.

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