Jeremy Corbyn è un politico inglese, pacifista, membro
del Partito Laburista, non molto conosciuto sulla scena internazionale, almeno
sino a quando, il 12 settembre di quest’anno, il suo nome viene improvvisamente
alla ribalta perché vince le primarie per la leadership del suo partito,
ottenendo, in prima istanza, il 59,5% dei consensi, battendo così Andy Burnham,
politico che non ha mai sollevato grandi passioni, Yvette Cooper, data per
favorita e Liz Kendall, blairiana di ferro, che erano gli altri candidati alla
stessa carica e succedendo a Ed Miliband, dimessosi dopo il disastroso
risultato delle elezioni del 7 maggio scorso.
Certo, quando si dice “rompere le uova nel paniere”, e sì, perché un personaggio come Corbyn non era
proprio nelle corde delle alte sfere dei Labour, anche perché i giochi politici
che hanno portato alla sua elezione, alla fine sono risultati chiari: quei
deputati che hanno favorito la sua candidatura e lo hanno aiutato in questo
percorso, dopo venti anni di ignavia e di acquiescenza nei riguardi di uno
stato che nel frattempo aveva rinunciato a essere presente nella vita dei
cittadini e aveva man mano tracciato un percorso di tagli e austerità, hanno pensato
che Corbyn potesse essere un nome in grado di trasmettere senza rischi il
messaggio labour ma soprattutto un capro espiatorio radicale, destinato a
sparire in un ballottaggio che tutti davano per scontato.
Quel 59,5 % nessuno se lo aspettava e gli alti
papaveri labour, il cui partito ha governato con Tony Blair e Gordon Brown dal
’97 al 2010 e che hanno tenuto un’opposizione di facciata da quando a governare
è la destra, adesso si ritrovano con un leader il cui programma politico
contrasta con le politiche di austerity europee, che più volte ha attaccato nei
suoi discorsi e che definisce insostenibili per tutto il Regno Unito sia dal
punto di vista politico che da quello economico e in più, Corbyn è un
sostenitore della nazionalizzazione di servizi pubblici come poste, ferrovie ed
energia.
Il fatto che il nuovo leader Labour riesca a turbare i
sogni di qualcuno, è una cosa che alla fin fine può fare anche piacere, ma il
fatto che possa esser capace di determinare un serio cambio di rotta nelle
politiche del Regno Unito è una cosa sulla quale vale la pena fare qualche
ragionamento.
Il programma economico di Corbyn, battezzato "Corbynomics" dai media inglesi, è fissato in una decina di
punti, ma il nocciolo duro del suo manifesto, prevede, esponendo la cosa in
maniera piuttosto esemplificata, di finanziare investimenti in infrastrutture e
progetti pubblici, in modo tale che questo provochi un ritorno in grado di
creare lavoro e che porti il paese alla piena occupazione per cittadini e
lavoratori.
Tutto questo, però, diventa solo enunciazione di buone
intenzioni perché la nota dissonante è che questa sua idea non trovi, alla fin
fine, fondamento nelle politiche da lui sostenute, dal momento che la sua
opposizione nei riguardi dei meccanismi di austerità è coerente con quanto
afferma il pensiero economico prevalente e per alcuni aspetti con quanto
sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale.
Il Corbynismo non traccia alcun percorso approfondito per la classe
lavoratrice, per il momento è solo una sirena ammaliatrice per quanti hanno
sofferto sotto i governi precedenti, anche quelli laburisti, propinando il
fatto che il socialismo sia la realizzazione di un mondo di buone intenzioni,
governato da persone di buone intenzioni, mistificando, in tutto questo, il fatto
che ci possa essere continuità tra il sistema vigente e un futuro senza
sfruttamento.
Quanto traccia Corbyn è pura utopia; le ricette da lui
proposte non sono sufficienti a fare i conti con quella che è oramai economia
globale: se tutte le strutture economiche del capitale e se tutte le strutture
politiche e statali che a esso fanno riferimento, rimarranno intatte, un
governo a guida Corbyn, con tutti i migliori propositi, non è in grado di
offrire alcuna prospettiva di progresso e immaginare, poi, che una singola
nazione, sin qui vissuta sullo sviluppo e l’incentivazione del capitale, possa
tirarsi fuori dal meccanismo di economia globalizzata, è l’apice della
mistificazione, vissuta ancora in danno di chi ha sempre subito.
Nei dieci punti della piattaforma presentata da
Corbyn, in effetti, non vengono indicati quali siano i dispositivi da mettere
in atto, ma si parla genericamente di una Gran Bretagna basata su innovazione,
posti di lavoro dignitosi e una serie di promesse analoghe, mentre l’unico
meccanismo cui fa riferimento è la creazione di una banca d'investimento
nazionale, attraverso il cui riassunto si possa realizzare un operato che sia
in grado di rimettere in moto l’economia e ridurre sensibilmente il deficit,
rimane però il problema che con un tipo di meccanismo così congegnato le
dinamiche capitalistiche di base rimarrebbero intatte e l’unica differenza
sarebbe che un sistema di sfruttamento sin qui detestato, improvvisamente
sarebbe considerato giusto.
Probabilmente l’intenzione di Corbyn è quella di far
rivivere il mito del vecchio laburismo, quello del periodo post-bellico, in cui
uno stato generoso fornisce protezione universale lungo tutto l’arco della
vita, in cui il capitalismo, per migliorare un po’ il tenore di vita di tutti,
viene edulcorato da misure economiche keynesiane, a lui tanto care.
Le promesse di Corbyn sono, di fatto, un miraggio cui
fanno da cassa di risonanza un po’ di ciarlatani della sinistra che non hanno
né voglia, né capacità di combattere per la distruzione del sistema marcio che
è stato in grado di opprimere milioni di persone, ciarlatani che ben si
guardano dal concepire un disegno che possa organizzare la classe operaia su
una base completamente diversa da tutti i partiti della classe dominante per
abbattere il sistema esistente e porre le basi per una libera associazione di
produttori senza confini né sfruttamento, che alcuna formula keynesiana è
capace di realizzare.
Il keynesianesimo, si rivela un’illusione ottica e ciò
è stato soprattutto evidente dal momento in cui ha manifestato l’evidente
incapacità di proseguire nella direzione del boom economico conseguente,
funestando il decennio degli anni settanta/ottanta. Infatti, quando le diverse
coniugazioni a tale modello economico, sono state messe in pratica, affinché si
affrontasse la recessione, nel progressivo aumento della spesa pubblica,
l'inflazione ha raggiunto picchi ragguardevoli, facendo lievitare i tassi di
interesse e creando solchi ancora più profondi nella crisi economica.
E "incredibilmente" a metà degli anni
settanta e precisamente tra il 1976-77, fu proprio di un governo laburista, la
richiesta al FMI di procedere e attuare i primi tagli al Servizio Sanitario
Nazionale.
Va da sé che la metodologia keynesiana non solo è
inattuabile ma insiste nel realizzarsi come il tappabuchi del capitalismo,
mostrandosi inutile arnese e neanche completamente sincera in chimeriche
pretese stataliste di intervento pubblico, dalla stessa avanzate.
Oggi, con la redditività e l'efficienza economica del
capitale e con un ROI, inferiore, rispetto agli anni '70, tali pretese
socialdemocratiche, si propongono unicamente di formula vuota (e va aggiunto
che i padroni non sono minimamente interessati ad alcuna concessione in
merito).
Se tutto questo non fosse drammatico, ci sarebbe da
ridere, nel constatare la ridicola pantomima del corbynismo, che nell'atto
dell'uscire dalla porta, si decide ad entrare dalla finestra del capitalismo,
nell'impegno ad una proposta di stato sociale che però tenga in considerazione,
gli investimenti finalizzati alla crescita, in una fase storica tra l'altro, in
cui il medesimo sistema economico, non è in grado di contenere la propria
eccedenza in una linea se non retta, neanche continua nella resa del profitto.
Tornando dunque, al trabocchetto espresso inizialmente
e che si potrebbe sintetizzare nella sciarada dell'economista quando sostiene
che «
Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e
non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo.
Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente
perplessi. »
E forse a questo dubbio a tali dubbi, si sono persuasi
anche organizzazioni politiche come Falce e Martello, Sinistra Anticapitalista,
Controcorrente e il Prc, dati gli entusiasmi raccolti per i proclami
anti-austerity di Corbyn, di risolutezza meno caparbia nell’enunciato di un
Tsipras che di pugno alzato, si è risolto infine in una resa a palme aperte
agli imperativi della Troika.
L’uno dunque di brutta e infingarda ‘tessitura
sovversiva’ e l’altro, un riformista che nulla toglierà alla tara liberista.
Va detto inoltre che le lotte sociali in Grecia, in
Gran Bretagna e in definitiva nel resto d’Europa sono in una fase di
contrazione e rallentamento della coscienza rivoluzionaria. Vi è e come accade
di fatto, un’abitudine reiterata al meccanismo della delega, che pretende di
consegnarsi alla soluzione elettorale e al controllo di governo, come se il
risultato dell’urna e il controllo di un governo possano e debbano in miraggi
“welfariani”, gestire e calmierare gli interessi dei subalterni. La miopia
semmai è nel non realizzare che senza un processo che sia realmente capace di
rovesciare il tavolo su cui gozzovigliano i poteri forti della borghesia, la
dinamica dello strumento democratico, tout court, non solo è innocuo camouflage
ma favorisce classe dominante che ha i suoi referenti profondamente radicati e
fortemente coordinati a livello europeo.
E si aggiunga inoltre che tale situazione è
particolarmente evidente nel Regno Unito, dove alla vittoria di Corbyn non
sussegue certo una radicalizzazione dei movimenti sociali. E date le soluzioni
messe sul piatto, non solo non si rende palese la possibilità di un avanzamento
ma si delinea piuttosto un arretramento dal punto di vista della lotta di
classe. Qualunque sia la formula utilizzata, il riformismo, o il farlocco
camuffamento - di consolidamento in realtà - delle leggi di mercato, l’attuale
effetto domino del padronato, si mostra come l’Apprendista Stregone di Goethe,
che rischia di dare l’imprimatur ad un esperimento di difficile gestione. La
soluzione, le soluzioni, ovviamente non mancherebbero e di certo, non sarebbero
inclusive di alcun accomodamento teso alla conservazione dello status quo e in
definitiva, dell’esistente.
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