16.10.15

L’ILLUSIONE CORBYNIANA DI VECCHIA TARGA KEYNESIANA E DI SOCIALDEMOCRAZIA INATTUABILE DI FASE STORICA



Jeremy Corbyn è un politico inglese, pacifista, membro del Partito Laburista, non molto conosciuto sulla scena internazionale, almeno sino a quando, il 12 settembre di quest’anno, il suo nome viene improvvisamente alla ribalta perché vince le primarie per la leadership del suo partito, ottenendo, in prima istanza, il 59,5% dei consensi, battendo così Andy Burnham, politico che non ha mai sollevato grandi passioni, Yvette Cooper, data per favorita e Liz Kendall, blairiana di ferro, che erano gli altri candidati alla stessa carica e succedendo a Ed Miliband, dimessosi dopo il disastroso risultato delle elezioni del 7 maggio scorso.
Certo, quando si dice “rompere le uova nel paniere”, e sì, perché un personaggio come Corbyn non era proprio nelle corde delle alte sfere dei Labour, anche perché i giochi politici che hanno portato alla sua elezione, alla fine sono risultati chiari: quei deputati che hanno favorito la sua candidatura e lo hanno aiutato in questo percorso, dopo venti anni di ignavia e di acquiescenza nei riguardi di uno stato che nel frattempo aveva rinunciato a essere presente nella vita dei cittadini e aveva man mano tracciato un percorso di tagli e austerità, hanno pensato che Corbyn potesse essere un nome in grado di trasmettere senza rischi il messaggio labour ma soprattutto un capro espiatorio radicale, destinato a sparire in un ballottaggio che tutti davano per scontato.
Quel 59,5 % nessuno se lo aspettava e gli alti papaveri labour, il cui partito ha governato con Tony Blair e Gordon Brown dal ’97 al 2010 e che hanno tenuto un’opposizione di facciata da quando a governare è la destra, adesso si ritrovano con un leader il cui programma politico contrasta con le politiche di austerity europee, che più volte ha attaccato nei suoi discorsi e che definisce insostenibili per tutto il Regno Unito sia dal punto di vista politico che da quello economico e in più, Corbyn è un sostenitore della nazionalizzazione di servizi pubblici come poste, ferrovie ed energia.
Il fatto che il nuovo leader Labour riesca a turbare i sogni di qualcuno, è una cosa che alla fin fine può fare anche piacere, ma il fatto che possa esser capace di determinare un serio cambio di rotta nelle politiche del Regno Unito è una cosa sulla quale vale la pena fare qualche ragionamento.
Il programma economico di Corbyn, battezzato "Corbynomics" dai media inglesi, è fissato in una decina di punti, ma il nocciolo duro del suo manifesto, prevede, esponendo la cosa in maniera piuttosto esemplificata, di finanziare investimenti in infrastrutture e progetti pubblici, in modo tale che questo provochi un ritorno in grado di creare lavoro e che porti il paese alla piena occupazione per cittadini e lavoratori.
Tutto questo, però, diventa solo enunciazione di buone intenzioni perché la nota dissonante è che questa sua idea non trovi, alla fin fine, fondamento nelle politiche da lui sostenute, dal momento che la sua opposizione nei riguardi dei meccanismi di austerità è coerente con quanto afferma il pensiero economico prevalente e per alcuni aspetti con quanto sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale.
Il Corbynismo non traccia alcun percorso approfondito per la classe lavoratrice, per il momento è solo una sirena ammaliatrice per quanti hanno sofferto sotto i governi precedenti, anche quelli laburisti, propinando il fatto che il socialismo sia la realizzazione di un mondo di buone intenzioni, governato da persone di buone intenzioni, mistificando, in tutto questo, il fatto che ci possa essere continuità tra il sistema vigente e un futuro senza sfruttamento.
Quanto traccia Corbyn è pura utopia; le ricette da lui proposte non sono sufficienti a fare i conti con quella che è oramai economia globale: se tutte le strutture economiche del capitale e se tutte le strutture politiche e statali che a esso fanno riferimento, rimarranno intatte, un governo a guida Corbyn, con tutti i migliori propositi, non è in grado di offrire alcuna prospettiva di progresso e immaginare, poi, che una singola nazione, sin qui vissuta sullo sviluppo e l’incentivazione del capitale, possa tirarsi fuori dal meccanismo di economia globalizzata, è l’apice della mistificazione, vissuta ancora in danno di chi ha sempre subito.
Nei dieci punti della piattaforma presentata da Corbyn, in effetti, non vengono indicati quali siano i dispositivi da mettere in atto, ma si parla genericamente di una Gran Bretagna basata su innovazione, posti di lavoro dignitosi e una serie di promesse analoghe, mentre l’unico meccanismo cui fa riferimento è la creazione di una banca d'investimento nazionale, attraverso il cui riassunto si possa realizzare un operato che sia in grado di rimettere in moto l’economia e ridurre sensibilmente il deficit, rimane però il problema che con un tipo di meccanismo così congegnato le dinamiche capitalistiche di base rimarrebbero intatte e l’unica differenza sarebbe che un sistema di sfruttamento sin qui detestato, improvvisamente sarebbe considerato giusto.
Probabilmente l’intenzione di Corbyn è quella di far rivivere il mito del vecchio laburismo, quello del periodo post-bellico, in cui uno stato generoso fornisce protezione universale lungo tutto l’arco della vita, in cui il capitalismo, per migliorare un po’ il tenore di vita di tutti, viene edulcorato da misure economiche keynesiane, a lui tanto care.
Le promesse di Corbyn sono, di fatto, un miraggio cui fanno da cassa di risonanza un po’ di ciarlatani della sinistra che non hanno né voglia, né capacità di combattere per la distruzione del sistema marcio che è stato in grado di opprimere milioni di persone, ciarlatani che ben si guardano dal concepire un disegno che possa organizzare la classe operaia su una base completamente diversa da tutti i partiti della classe dominante per abbattere il sistema esistente e porre le basi per una libera associazione di produttori senza confini né sfruttamento, che alcuna formula keynesiana è capace di realizzare.
Il keynesianesimo, si rivela un’illusione ottica e ciò è stato soprattutto evidente dal momento in cui ha manifestato l’evidente incapacità di proseguire nella direzione del boom economico conseguente, funestando il decennio degli anni settanta/ottanta. Infatti, quando le diverse coniugazioni a tale modello economico, sono state messe in pratica, affinché si affrontasse la recessione, nel progressivo aumento della spesa pubblica, l'inflazione ha raggiunto picchi ragguardevoli, facendo lievitare i tassi di interesse e creando solchi ancora più profondi nella crisi economica.
E "incredibilmente" a metà degli anni settanta e precisamente tra il 1976-77, fu proprio di un governo laburista, la richiesta al FMI di procedere e attuare i primi tagli al Servizio Sanitario Nazionale.
Va da sé che la metodologia keynesiana non solo è inattuabile ma insiste nel realizzarsi come il tappabuchi del capitalismo, mostrandosi inutile arnese e neanche completamente sincera in chimeriche pretese stataliste di intervento pubblico, dalla stessa avanzate.
Oggi, con la redditività e l'efficienza economica del capitale e con un ROI, inferiore, rispetto agli anni '70, tali pretese socialdemocratiche, si propongono unicamente di formula vuota (e va aggiunto che i padroni non sono minimamente interessati ad alcuna concessione in merito).
Se tutto questo non fosse drammatico, ci sarebbe da ridere, nel constatare la ridicola pantomima del corbynismo, che nell'atto dell'uscire dalla porta, si decide ad entrare dalla finestra del capitalismo, nell'impegno ad una proposta di stato sociale che però tenga in considerazione, gli investimenti finalizzati alla crescita, in una fase storica tra l'altro, in cui il medesimo sistema economico, non è in grado di contenere la propria eccedenza in una linea se non retta, neanche continua nella resa del profitto.
Tornando dunque, al trabocchetto espresso inizialmente e che si potrebbe sintetizzare nella sciarada dell'economista quando sostiene che « Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi. »
E forse a questo dubbio a tali dubbi, si sono persuasi anche organizzazioni politiche come Falce e Martello, Sinistra Anticapitalista, Controcorrente e il Prc, dati gli entusiasmi raccolti per i proclami anti-austerity di Corbyn, di risolutezza meno caparbia nell’enunciato di un Tsipras che di pugno alzato, si è risolto infine in una resa a palme aperte agli imperativi della Troika.
L’uno dunque di brutta e infingarda ‘tessitura sovversiva’ e l’altro, un riformista che nulla toglierà alla tara liberista.
Va detto inoltre che le lotte sociali in Grecia, in Gran Bretagna e in definitiva nel resto d’Europa sono in una fase di contrazione e rallentamento della coscienza rivoluzionaria. Vi è e come accade di fatto, un’abitudine reiterata al meccanismo della delega, che pretende di consegnarsi alla soluzione elettorale e al controllo di governo, come se il risultato dell’urna e il controllo di un governo possano e debbano in miraggi “welfariani”, gestire e calmierare gli interessi dei subalterni. La miopia semmai è nel non realizzare che senza un processo che sia realmente capace di rovesciare il tavolo su cui gozzovigliano i poteri forti della borghesia, la dinamica dello strumento democratico, tout court, non solo è innocuo camouflage ma favorisce classe dominante che ha i suoi referenti profondamente radicati e fortemente coordinati a livello europeo.
E si aggiunga inoltre che tale situazione è particolarmente evidente nel Regno Unito, dove alla vittoria di Corbyn non sussegue certo una radicalizzazione dei movimenti sociali. E date le soluzioni messe sul piatto, non solo non si rende palese la possibilità di un avanzamento ma si delinea piuttosto un arretramento dal punto di vista della lotta di classe. Qualunque sia la formula utilizzata, il riformismo, o il farlocco camuffamento - di consolidamento in realtà - delle leggi di mercato, l’attuale effetto domino del padronato, si mostra come l’Apprendista Stregone di Goethe, che rischia di dare l’imprimatur ad un esperimento di difficile gestione. La soluzione, le soluzioni, ovviamente non mancherebbero e di certo, non sarebbero inclusive di alcun accomodamento teso alla conservazione dello status quo e in definitiva, dell’esistente.


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